Pubblico Impiego: quale percentuale sulle assunzioni per il 2019 e 2020?

Pubblico Impiego: quale percentuale sulle assunzioni per il 2019 e 2020?

Pubblicato da lentepubblica.it il 6 febbraio 2018

 Qual è la percentuale della capacità assunzionale negli anni 2019 e 2020? La domanda è importante perché si inserisce nell’adozione dei piani triennali dei fabbisogni personale del triennio 2018/2020 e quindi, bisognerà pur sapere quanti dipendenti si possono assumere o almeno programmare.

Ovviamente non stiamo parlando della percentuale che sarà, cioè quella che potremmo ritrovarci dopo la manovra estiva del nuovo Governo. Il calcolo è basato sulla percentuale odierna, quella da considerare per i documenti di programmazione.

A normativa vigente, c’è una disposizione che aveva inserito la percentuale del turn-over a regime. Questa è rappresentata dall’art. 3 comma 5 del d.l. 90/2014. Questa  legge afferma che : “La predetta facoltà ad assumere è fissata nella misura dell’80 per cento negli anni 2016 e 2017 e del 100 per cento a decorrere dall’anno 2018”.

Nel frattempo però, come sappiamo, l’art. 1 comma 228 e seguenti della legge 208/2015 ha aperto una parentesi per il triennio 2016/2018 introducendo percentuali diverse e più ridotte. Al 31 dicembre di quest’anno, quindi, la parentesi si chiuderà e tornerà in vigore l’art. 3 del d.l. 90/2014.

A fine anno termineranno anche le norme speciali per le assunzioni nella polizia locale e per le assunzioni del piano straordinario per il personale educativo e scolastico. Quindi la conclusione è semplice: dal 2019 la percentuale della capacità assunzionale è fissata per tutti gli enti locali sopra i 1.000 abitanti e per tutte le tipologie di personale da assumere al 100% della spesa dei cessati nell’anno precedente.

Si ricorda che lo sblocco del turn-over viene esteso anche ai Comuni con popolazione tra i 1.000 e i 5 mila abitanti. Essi devono rilevare, nell’anno precedente, una spesa di personale inferiore al 24% della media delle entrate correnti registrate nei conti consuntivi dell’ultimo triennio.

Fonte: ASFEL – Associazione Servizi Finanziari degli Enti Locali

 

Dalla Corte dei conti prima esclusione degli incentivi tecnici dai tetti al salario accessorio

Dalla Corte dei conti prima esclusione degli incentivi tecnici dai tetti al salario accessorio

(www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com)

di Gianluca Bertagna

 

Gli incentivi per funzioni tecniche, dopo la modifica apportata dalla legge di bilancio, non rientrano nei limiti del salario accessorio fissati dall’articolo 23, comma 2 del Dlgs 75/2017. La prima interpretazione sull’inclusione o meno delle somme previste all’articolo 113, comma 2 del Dlgs 50/2016 nei tetti dei fondi arriva dalla Corte dei conti dell’Umbria con la deliberazione n. 14/2018.

Il problema La questione è nota. La revisione delle modalità di erogazione degli incentivi contenuta nel Codice degli appalti ha acceso fin da subito un forte dibattito sulla natura di questi emolumenti. Mentre i compensi del Dlgs 163/2006 erano stati solidamente esclusi da ogni limite al trattamento accessorio complessivo delle pubbliche amministrazioni, quelli di nuova concezione hanno avuto uno stop da parte della Sezione autonomie della Corte dei conti, che nelle delibere 7 e 24 dello scorso annone ha individuato una natura diversa, costringendo gli enti a monitorare attentamente tali somme nel rispetto dei vincoli.

La modifica normativa La legge 205/2017 ha però aggiunto il comma 5-bis all’articolo 113 del Dlgs 50/2016 prevedendo che gli incentivi «fanno capo al medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e forniture». La non chiarissima formulazione ha lasciato qualche dubbio (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 15 gennaio) che al momento attuale è stato quantomeno respinto dalla Corte dei conti dell’Umbria.

Le indicazioni della Corte Secondo i magistrati contabili, vi sono tre motivi per poter ritenere esclusi questi incentivi dal limite indicato dall’articolo 23, comma 2 del Dlgs 75/2017, dove si prevede che il salario accessorio non superi il livello del 2016, e le argomentazioni si basano sul fatto che le norme vigenti fissano già dei vincoli precisi che “autolimitano” questa spesa:  • il quadro economico determinato per il singolo lavoro (o fornitura/servizio) costituisce il primo e più importante limite alla spesa per gli incentivi tecnici, poiché il 2% richiamato dalla norma viene calcolato sulle somme predeterminate per il contratto da stipulare, non incidendo su ulteriori stanziamenti di bilancio;  • gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente (anche da diverse amministrazioni) non possano superare l’importo del 50% del trattamento economico complessivo annuo lordo;  • le modalità e criteri di ripartizione del fondo sono previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di un regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, ma in ogni caso sarà impossibile determinarne un’erogazione a pioggia.  L’esclusione dal tetto del trattamento accessorio degli incentivi per funzioni tecniche consente peraltro di evitare effetti espansivi della spesa pubblica. E chissà se, a questo, punto, la questione tornerà per la parola «fine» alla sezione Autonomie della Corte dei conti.

Il principio di rotazione non esclude in automatico il gestore uscente

Il principio di rotazione non esclude in automatico il gestore uscente

di Susy Simonetti

(www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/)

Il principio di rotazione non ha valenza precettiva assoluta in quanto è strumentale rispetto a quello della concorrenza e trova, quindi, applicazione nei limiti in cui non incida su quest’ultimo. È questa la massima giurisprudenziale che emerge dalla sentenza n. 1665/2017 del Tar Toscana.

La vicenda
Motivo del ricorso è la violazione dell’articolo 36 del Dlgs n. 50/2016 e delle linee guida Anac n. 4 in relazione all’ inosservanza del principio di rotazione e alla carenza di motivazione circa l’invito del gestore uscente. Nella specie, l’aggiudicazione definitiva era stata disposta a favore del precedente affidatario che, in quanto tale, non avrebbe potuto partecipare alla gara. Non condivisibili, per il giudice, le doglianze: la stazione appaltante ha correttamente operato tramite avviso esplorativo del mercato, al quale hanno manifestato interesse a concorrere solo quattro imprese, compreso il gestore uscente.
L’ente ha così interrogato e sollecitato il mercato e l’indagine ha prodotto un ristretto numero di operatori economici; in tal caso, una interpretazione rigida del principio di rotazione, con l’esclusione automatica del gestore uscente, non avrebbe aumentato ma diminuito la concorrenza.
La stazione appaltante ha legittimamente ritenuto di far prevalere l’esigenza del confronto concorrenziale rispetto al principio di rotazione, avendo, così, la possibilità di scegliere tra le migliori offerte conseguibili a seguito dell’esperimento di una procedura di gara rivolta a una adeguata platea di imprese. In sostanza, l’esclusione del vecchio gestore avrebbe limitato l’applicazione del principio comunitario della partecipazione e la «rendita di posizione” si presenta recessiva alla regola di apertura del mercato. A tutela della concorrenza emerge, pertanto, una chiave di lettura «più morbida» del principio di rotazione.
La regola della rotazione si configura come lo strumento idoneo a perseguire il principio di concorrenza con la distribuzione delle opportunità di aggiudicazione ma incontra un limite nella concorrenza stessa, intesa come apertura ad un grado di competizione effettiva.

La decisione
Di diverso avviso è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5854/2017, per il quale non hanno rilievo le possibili conseguenze in danno della concorrenza stante l’obbligatorietà dell’applicazione del principio di rotazione. Così anche la prima sezione del Tar Toscana con la sentenza n. 17/2018: l’avviso esplorativo non è una procedura di gara concorsuale perché diretto solo a conoscere l’assetto e i potenziali concorrenti, e già nella fase dell’invito, per espressa statuizione dell’articolo 36 del codice, si innesta la regola dell’esclusione del gestore uscente. Tuttavia un’interpretazione «morbida» del principio di rotazione emerge anche da parte dell’Anac che, in fase di revisione delle linee guida n. 4, propone di attenuarne l’applicazione ipotizzando le seguenti soluzioni:
• suddividere l’elenco degli operatori economici per tipologia di affidamento e per fasce di importo, considerando ogni sezione come elenco distinto all’interno del quale applicare la rotazione;
• adottare la regola della rotazione secondo un principio di casualità.
D’altronde, a parere di chi scrive, un’applicazione tout court del principio di rotazione, dal quale far derivare una regola di non candidabilità per il gestore uscente, si presenta in contrasto con i principi del trattato, con effetti distorsivi sulle dinamiche competitive del mercato.

Niente esenzione Ici per l’ente assistenziale convenzionato

Niente esenzione Ici per l’ente assistenziale convenzionato

di Roberta Barchi – Rubrica a cura di Anutel

L’ente non commerciale che svolge attività di assistenza socio-sanitaria in esecuzione di specifiche convenzioni con il servizio sanitario non gode, per il semplice fatto di essere convenzionato, dell’esenzione Ici di cui all’articolo 7, comma 1, lettera i) del Dlgs n. 504 del 1992. La circostanza che le rette per gli utenti siano state stabilite a seguito della convenzione, poi, non comporta che le modalità di esercizio dell’attività debbano ritenersi sottratte alla logica commerciale. Questo è quanto sostanzialmente affermato dalla Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia in due sentenze n. 336 e 337/01/2017 che richiamano espressamente i principi enunciati dalla Suprema corte nella sentenza n. 6711/2015.

Il caso  Il Comune impositore aveva contestato, a seguito dell’esame di un questionario sottoposto e compilato dall’ente di assistenza, la mancanza del requisito oggettivo per l’ottenimento dell’esenzione Ici per le annualità 2009, 2010 e 2011. Contestava, cioè, lo svolgimento dell’attività con modalità non commerciali rilevando che non era stata fornita prova della gratuità delle prestazioni né dell’inidoneità dei corrispettivi a conseguire la remunerazione dei fattori produttivi né, comunque, della mancanza di relazione degli stessi rispetto al costo del servizio. L’ente proponeva ricorso evidenziando che l’attività assistenziale veniva svolta in esecuzione a specifiche convenzioni con il servizio sanitario e pertanto, secondo quanto affermato nella circolare n. 2/DF/2009 dell’amministrazione finanziaria, ricorrevano gli estremi dell’esenzione. Rilevava inoltre che gli utili conseguiti dipendevano dall’integrazione delle rette fatte dai Comuni e dagli enti, altrimenti la gestione sarebbe stata in perdita.

La decisione  Tutto questo non è bastato a convincere al Ctp che, invece, ha ritenuto mancasse la prova dello svolgimento dell’attività con finalità esclusivamente solidaristiche e che sussistessero invece elementi certi per ritenere che la gestione venisse attuata con forme proprie dell’economia di mercato, in regime di concorrenza con altre strutture analoghe. Un’attenta analisi dei risultati di bilancio e delle diverse voci tra cui «rette ospiti» hanno evidenziato, l’obiettiva economicità delle operazioni. Altri elementi hanno fornito la prova di un attività svolta con modalità imprenditoriali e di una adeguata e complessa organizzazione manageriale. La commissione ha invece accolto la richiesta di disapplicazione delle sanzioni. In materia di Imu il regolamento n. 200/2012 stabilisce che le attività assistenziali sono svolte con modalità non commerciali nel caso, tra gli altri, in cui le attività stesse «sono accreditate dallo Stato e prestate nell’ambito di un contratto o di una convenzione con lo Stato, le regioni o gli enti locali e sono svolte in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, fornendo agli utenti un servizio a titolo gratuito o dietro versamento di un importo che rappresenta una semplice partecipazione alla spesa prevista per la copertura del servizio universale». L’onere di provare la sussistenza del requisito oggettivo a fondamento dell’agevolazione naturalmente rimane in capo al contribuente.

Spese per le elezioni

Spese per le elezioni

19/01/2018 – IlSole24Ore

Alle elezioni del 4 marzo sono dedicate le prime tre circolari dell’anno della Direzione centrale della finanza locale del Viminale. In particolare si tratta delle istruzioni sulle spese di organizzazione tecnica, sul trattamento di straordinario per il personale comunale e delle competenze dovute ai componenti dei seggi per le elezioni politiche abbinate alle regionali.

Ancora nessun dettaglio sulle somme che andranno ai singoli Comuni perché – precisa la Direzione – non si conosce l’ammontare del finanziamento disposto dal ministero dell’Economia e delle Finanze.

Nel frattempo, la parola d’ordine del Viminale è parsimonia. Il Viminale raccomanda, infatti, ai Comuni di mantenere le spese nei limiti strettamente indispensabili, in quanto eventuali eccedenze rispetto all’importo massimo assegnabile, resteranno a loro carico. Con la circolare n. Fl 1/2018 la Direzione stabilisce innanzitutto la durata del periodo elettorale: dall’8 gennaio, cinquantacinquesimo giorno antecedente la data delle consultazioni, al 9 marzo, quinto giorno successivo alle consultazioni stesse.

Il monte ore individuale mensile sta nel limite medio di spesa di 40 ore mensili per persona fino a un massimo individuale di 60 ore mensili.

Le spese per le prestazioni rese dal personale comunale saranno rimborsate al lordo sia dell’Irpef sia dei contributi assistenziali, previdenziali e sugli infortuni che, normalmente sono posti a carico dei Comuni.

Per quanto concerne le Unioni di Comuni la circolare precisa che dovranno essere preventivamente autorizzate da entrambi le parti interessate (Unioni e comuni), nonché debitamente disciplinate per la parte connessa ai rapporti finanziari. I Comuni utilizzatori inseriranno il personale nella costituzione dei propri uffici elettorali e procederanno all’adozione delle necessarie determine autorizzative al lavoro straordinario.

La circolare Fl n. 2/2018 fornisce istruzioni sulle spese di organizzazione tecnica e attuazione. In particolare, la Direzione precisa che l’importo massimo delle spese da rimborsare a ciascun Comune, fatta eccezione per il trattamento economico dei componenti di seggio, è stabilito con decreto del ministero dell’Interno nei limiti delle assegnazioni di bilancio, secondo distinti parametri per sezione elettorale e per elettore calcolati, rispettivamente, nella misura del 40% e del 60%, sul totale da ripartire, con la maggiorazione del 40% per i Comuni fino a 3 sezioni elettorali. Le assegnazioni così

disposte sono vincolanti e non potranno, in nessun caso, essere soggette a integrazioni.

I Comuni sono tenuti ad anticipare le spese per il trattamento economico dei componenti di seggio e le altre relative agli adempimenti di propria spettanza.

Qualora l’ente non riesca a fronteggiare le particolari esigenze connesse alle consultazioni con il personale in servizio e con il ricorso al lavoro straordinario, potrà procedere alla stipula di contratti individuali per l’assunzione di personale a tempo determinato per il periodo elettorale. Questa spesa non grava sul bilancio comunale in quanto rimborsata dal Ministero e, pertanto, queste assunzioni non possono considerarsi soggette ai vincoli

assunzionali previsti per gli enti.

Possono essere rimborsati soltanto gli stampati o eventuali prodotti software sostitutivi, strettamente indispensabili per le necessità del servizio elettorale, escludendo, comunque, gli stampati di sporadico uso e di scarso contenuto, nonché gli eventuali software finalizzati alla gestione dei risultati elettorali.

Relativamente alle spese per l’eventuale alloggio delle forze dell’ordine occorre fare riferimento al competente Dipartimento della Pubblica Sicurezza al quale dovranno essere indirizzati gli eventuali quesiti.

Il pagamento dell’importo a saldo in favore di ciascun Comune sarà eseguito, come l’anticipo, direttamente dalla Direzione centrale sulla base dei risultati del controllo della rendicontazione presentata dagli enti i cui esiti saranno comunicati utilizzando il file in formato excel (da non trasformare in Pdf) che verrà inviato appena possibile all’indirizzo : finanzalocale.prot@pec.interno.it.

I Comuni, appena ultimati i propri adempimenti, dovranno redigere il rendiconto e inviarlo con la massima sollecitudine e in ogni caso entro il termine perentorio di quattro mesi dalla data delle consultazioni, e cioè entro il 4 luglio 2018, pena la decadenza dal diritto al rimborso.

La circolare Fl n. 3/2018 dice che per i Comuni nei quali si effettuano le sole elezioni politiche, la spesa per gli onorari fissi e per il trattamento di missione è a totale carico dello Stato. Per i Comuni della Regioni Lombardia e Lazio, nei quali si effettua l’abbinamento delle elezioni politiche con le regionali, la spesa per gli onorari fissi e per il trattamento di missione è ripartita in ragione di due terzi a carico dello Stato e di un terzo a carico della

Regione. Questo criterio vale anche per le spese di straordinario dei dipendenti comunali.

La circolare contiene, poi, tutti i modelli necessari ai Comuni per le proprie rendicontazioni.

La circolare tratta nel dettaglio il tema degli onorari, del trattamento di missione riservato ai Presidenti di seggio con spese per il pernottamento in albergo, per il vitto, di viaggio e compensi chilometrici.

Capitolo a parte quello dedicato alle competenze dovute ai componenti dei seggi costituiti presso l’ufficio centrale per la circoscrizione estero.

Daniela Casciola

 

Non è possibile assumere tramite lo scorrimento della graduatoria precedente se l’ente pubblico ha già bandito un nuovo concorso; è quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 742 del 15 gennaio.

 

Non è possibile assumere tramite lo scorrimento della graduatoria precedente se l’ente pubblico ha già bandito un nuovo concorso; è quanto affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 742 del 15 gennaio.

La giurisprudenza di legittimità è consolidata nell’affermare che, ove la domanda di riconoscimento del diritto allo scorrimento della graduatoria sia consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento di indizione di una nuova procedura concorsuale, la contestazione investe l’esercizio del potere dell’amministrazione, a cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, la cui tutela spetta al giudice amministrativo ai sensi dell’articolo 63 del Dlgs 165/2001.

 

Il diritto allo scorrimento, pertanto, poteva al più essere riconosciuto con riferimento al 50% dei posti che erano disponibili nel triennio successivo all’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, ma sul punto i protagonisti della vicenda, pur essendo a ciò onerati, nulla avevano allegato e provato.

 

Ove la domanda di riconoscimento del diritto allo scorrimento della graduatoria sia consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento di indizione di una nuova procedura concorsuale, la contestazione investe l’esercizio del potere dell’amministrazione, a cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, la cui tutela spetta al giudice amministrativo ai sensi del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 63, comma 4 (fra le piu’ recenti, in tal senso, Cass. S.U. 20.12.2016 n. 26272).

 

Nel caso di specie i ricorrenti, pur agendo per il riconoscimento del loro diritto alla assunzione in forza dello “scorrimento” della graduatoria, lo prospettano come consequenziale alla negazione degli effetti del provvedimento di indizione del nuovo concorso, e, quindi, sostanzialmente chiedono tutela nei confronti dell’esercizio del potere amministrativo, cui corrisponde una situazione di interesse legittimo, non di diritto soggettivo. L’atto di indizione del nuovo concorso, infatti, non viene in considerazione quale presupposto della gestione del rapporto giuridico, bensi’ quale oggetto diretto e immediato della pretesa, posto che la situazione di diritto soggettivo potrebbe scaturire soltanto dalla sua previa rimozione, non consentita.

 

Quali criticità devono risolvere gli enti locali per sostenere gli oneri contrattuali per il proprio personale?

(http://www.lentepubblica.it)

Quali criticità devono risolvere gli enti locali per sostenere gli oneri contrattuali per il proprio personale?

Si sta valutando il capitolo delle risorse disponibili per i rinnovi. Dopo l’intesa tra Aran e i sindacati di Cgil, Cisl, Uil, Confsal (Usb, Cgs e Cisal non hanno siglato) per i dipendenti di ministeri, agenzie fiscali ed enti pubblici non economici (in tutto circa 247 mila persone) questo contratto è destinato a fare da apripista per gli altri comparti.

Per gli Enti Locali però fare la quadratura del cerchio potrebbe portare altri imprevisti sulla strada del rinnovo.

Gli enti già dispongono di tutti gli elementi necessari per effettuare il calcolo. Sulla base delle informazioni contenute nel Dpcm 27 febbraio 2017 e della legge di stabilità 2018 (che stanzia le risorse necessarie a onorare l’impegno assunto tra Governo e sindacati a novembre 2016 sugli 85 euro medi mensili), occorrerà calcolare, sul monte salari 2015 (al netto della indennità di vacanza contrattuale e maggiorato di oneri riflessi) le seguenti percentuali:

• 0,36% per il 2016;
• 1,09% per il 2017;
• 3,48% a decorrere dall’esercizio 2018.

Gli importi così ottenuti rappresentano la spesa lorda a carico dei bilanci locali, anch’essa comprensiva di oneri riflessi.

Per il 2016 e il 2017 gli enti avrebbero già dovuto accantonare nel rendiconto 2016 e nel bilancio 2017 le relative somme, che confluiranno tutte nel risultato di amministrazione 2017, tra i fondi accantonati, per poi essere applicate al bilancio come avanzo, al fine di finanziare gli arretrati contrattuali che dovranno essere erogati entro 30 giorni dalla definitiva sottoscrizione del contratto. Chi non avesse provveduto nel rendiconto 2016 o nel bilancio 2017 a disporre tali accantonamenti, potrà comunque rimediare con il rendiconto 2017, mettendo da parte tra i fondi accantonati la somma necessaria. Chi invece avesse accantonato di più del necessario (dato che per il 2016 e 2017 le somme che verranno riconosciute saranno poco più che simboliche), con il rendiconto 2017 dovrà liberare le eccedenze, che non potranno essere utilizzate per gli oneri di competenza del 2018.

I problemi sulle somme accantonate potrebbero portare al seguente scenario:  anche se gli enti hanno prudentemente accantonato, potrebbero incontrare problemi per utilizzare i loro risparmi per finanziare la spesa complessiva del rinnovo contrattuale.

Risolte queste criticità si potrà avere la strada spianata per il rinnovo contrattuale e gli aumenti stipendiali.

Sulla base del primo accordo gli aumenti sullo stipendio base vanno dai 63 ai 117 euro mensili lordi a regime. A questi incrementi va aggiunto l’assegno per i livelli più bassi, che oscilla tra i 21 e 25 euro (valido per dieci mensilità) e una maggiorazione per le amministrazioni più «ricche» da caricare sul salario accessorio. Gli aumenti per il 2018 scatteranno da marzo.

 

 

Taglio 10 per cento indennità amministratori e gettoni presenza

| 18 gennaio 2018

PUBLIKA DAILY

Taglio 10 per cento indennità amministratori e gettoni presenza

Domanda

La mancata proroga per il 2018 del taglio del 10% di cui all’art. 6, comma 3, del d.l. 78/2010 riguarda anche le indennità degli amministratori (sindaco e assessori) ed i gettoni dei consiglieri comunali?

Risposta

No, l’art. 6, comma 3, del d.l. 78/2010 non riguarda le indennità di funzione di sindaco e assessori.

Il d.l. 78/2010 disciplinava la riduzione dei compensi di questa tipologia all’art. 5, comma 7, demandandone l’attuazione all’adozione di un successivo decreto del Ministro dell’interno, ai sensi dell’art. 82, comma 8, del TUEL 267/2000.

Dunque, la materia delle indennità di funzione e dei gettoni di presenza degli amministratori degli enti locali trova la sua disciplina nell’art. 82 del TUEL che rinvia ad apposito decreto ministeriale la determinazione degli emolumenti in questione sulla base di criteri predeterminati.

Il decreto ministeriale avrebbe dovuto essere rinnovato ogni tre anni, tuttavia, quello vigente è tutt’ora  il d.m. 4 aprile 2000, n. 119, che rappresenta ancora oggi la fonte che disciplina la misura dell’indennità in quanto, non solo non è stato aggiornato ai sensi del comma 10 dell’art. 82, ma neppure è stato sostituito da un nuovo decreto del Ministro dell’interno, previsto dal comma 7 dell’art. 5 del d.l. 78/2010.

Oltre a ciò permane ovviamente la riduzione strutturale delle indennità di funzione imposta dall’art. 1, comma 54, della l. 266/2005 (e non il comma 58 come riportato nella norma citata che, invece, si riferisce ad altra tipologia di organi collegiali), cioè la riduzione del 10 per cento rispetto all’ammontare delle indennità in godimento alla data del 31.12.2005.

Infine, occorre fare riferimento alle disposizioni introdotte dalla successiva legge “Delrio” n. 56/2014, che con i commi 135 e 136, è intervenuta sulla composizione numerica di consigli e giunte e ha introdotto misure di invarianza della spesa rispetto al sistema previgente.

 

Il controllo preventivo di morosità del beneficiario di pagamenti della p.a.

La legge di stabilità 2018 (L. 27 dicembre 2017, n. 205, in G.U. n. 302 del 29 dicembre 2017 – Suppl. Ordinario n. 62, contiene delle misure tese a rafforzare l’efficacia delle attuali procedure di riscossione esattoriali; non vi è dubbio, infatti, che il momento della riscossione, soprattutto quella coattiva, sia da sempre una delle fasi più critiche e delicate dell’articolato procedimento di recupero dell’evasione tributaria o contributiva.

Per migliorare le perfomances di riscossione a mezzo ruolo, infatti, il legislatore ha ampliato il potere d’inibire l’incasso di somme dovute al contribuente dalle p.a, già contenuto nell’art. 48-bisD.P.R. 29 settembre 1973, n. 602.

Il riferimento va all’art. 1, commi 986/989 del testo di legge

Fatte salve le modifiche normative suesposte, restano ferme le modalità applicative dell’istituto, come chiarite con le circolari della Ragioneria Generale dello Stato n. 22 del 29 luglio 2008, n. 29 dell’8 ottobre 2009 e n. 27 del 23 settembre 2011.

Quanto premesso, il legislatore, a decorrere dal 1° marzo 2018:

– riduce, da diecimila a cinquemila euro la soglia oltre la quale le p.a. e le società a prevalente partecipazione pubblica (queste ultime, a far tempo dall’emanazione del decreto attuativo di cui all’art. 6D.M. n. 40 del 2008), prima di effettuare i pagamenti, devono verificare anche in via telematica se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo: in pratica, il limite si dimezza;

– aumenta da trenta a sessanta giorni il periodo durante il quale il soggetto pubblico non procede al pagamento delle somme dovute al beneficiario fino alla concorrenza dell’ammontare del debito comunicato dall’agente della riscossione, al fine di consentire il pignoramento da parte di quest’ultimo: di fatto, il termine raddoppia.

Resta ferma la possibilità, per il ministero dell’Economia, di emanare un nuovo regolamento attuativo in relazione alla norma medesima, qui modificata.

Non si può non rilevare come la disposizione modificativa sia contenuta in una legge ordinaria e non in un decreto ministeriale, come richiesto dall’art. 2-bis, D.P.R. n. 602 del 1973.

Dunque, a seguito della novella di cui alla legge di bilancio per il 2018 e con effetto dal 1° marzo 2018, l’art. 48-bisD.P.R. n. 602 del 1973, prevede, per le p.a. di cui all’art. 1, comma 2, D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e le società a prevalente partecipazione pubblica, l’obbligo di verificare, prima di effettuare il pagamento a titolo di adempimento di un obbligo contrattuale di natura privatistica (contratto o altro fatto/atto idoneo a produrlo) di un importo superiore a cinquemila euro, se il beneficiario sia inadempiente all’obbligo di versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare complessivo pari almeno a tale importo; in caso affermativo, l’amministrazione non deve procedere al pagamento, segnalando tale circostanza all’agente della riscossione competente per territorio, ai fini dell’esercizio dell’attività di riscossione delle somme iscritte a ruolo.

Poiché, quindi, il pagamento per importi superiori a cinquemila euro, da parte delle p.a. e delle società a prevalente partecipazione pubblica, è subordinato al riscontro della mancanza, nei riguardi del beneficiario del pagamento, di cartelle esattoriali impagate per un ammontare complessivo pari almeno a detto importo, è di tutta evidenza come si ampli il raggio dei controlli preventivi della p.a. sugli eventuali debiti col Fisco dei fornitori. In ogni caso:

– la procedura di verifica non deve iniziare e, se erroneamente iniziata, va immediatamente interrotta, qualora il credito del soggetto beneficiario non superi tale somma;

– al fine evitare operazioni elusive, realizzate mediante il frazionamento di pagamenti teoricamente unitari, ma fatturati in modo tale da risultare sempre al di sotto della soglia di cinquemila euro, occorre avere riguardo alle pattuizioni contrattuali ed alle correlative scadenze stabilite.

In buona sostanza, tutte le p.a. che effettuano pagamenti per importi che superano cinquemila euro, devono interrogare il sistema informativo “Verifica Inadempimenti“di Agenzia delle Entrate-Riscossione (l’ente pubblico economico che dal 1° luglio 2017 ha sostituito Equitalia Spa) per verificare, appunto, se il beneficiario delle somme è moroso per importi almeno pari a tale cifra; in caso affermativo, l’amministrazione non deve procedere al pagamento, per consentire, eventualmente, all’agente della riscossione, di esercitare il recupero coattivo dei crediti in carico a mezzo esecuzione.

A tal fine, l’Agenzia deve fornire risposta entro 5 giorni e, in mancanza, l’ente è legittimato ad eseguire il pagamento, assumendo così rilievo anche il silenzio-assenso dell’agente della riscossione, che si traduce nell’autorizzazione (implicita) al pagamento delle somme dovute.

Diversamente, in caso di riscontro positivo, l’Agenzia comunica l’importo dovuto al sistema pubblico di riscossione e, di conseguenza, l’ente pubblico deve sospendere per 60 giorni l’erogazione delle somme fino ad una cifra pari a quella indicata dall’agente della riscossione: il blocco del pagamento è funzionale alla notifica di un atto di pignoramento presso terzi da parte dell’agente della riscossione, ai sensi degli artt.72-bis ss., D.P.R. n. 602 del 1973.

Se durante il blocco intervengono pagamenti da parte del contribuente o altri provvedimenti dell’ente creditore che fanno venir meno il debito o ne riducono l’ammontare, il sistema lo comunicherà prontamente all’ente pubblico in attesa di liberatoria, indicando l’importo del pagamento che quest’ultimo può conseguentemente effettuare a favore del beneficiario. Tuttavia, decorso il termine di sessanta giorni senza che l’agente della riscossione gli abbia notificato l’atto di pignoramento, l’ente pubblico può erogare le somme dovute, ma con un inevitabile allungamento dei tempi di pagamento.

La disposizione appare idonea a rafforzare l’efficacia delle attuali procedure di riscossione, ampliando in modo significativo l’area di effettuazione delle verifiche preventive; gli effetti attesi, in termini di maggior gettito erariale, si attestano su 145 milioni di euro nel 2018, e 175 per ciascun anno del biennio successivo (in tal senso si è espressa la Corte dei Conti nel corso dell’Audizione della Corte dei conti sul disegno di legge di bilancio per l’anno 2018).

La novella contiene dei risvolti pratici non trascurabili anche per i Comuni, che sono di fatto chiamati a svolgere una maggiore attività di vigilanza e tutela delle ragioni creditorie dello Stato e degli altri enti della p.a. che riscuotono per il tramite di Agenzia delle Entrate Riscossione, e di prevenzione sui rischi di perdite su crediti.

Di là dell’aggravio procedurale e del carico di lavoro assegnato che non trova compensazione, consistente di fatto in un controllo preventivo per i pagamenti superiori a 5.000 €, si aggiunga che le possibilità di esporsi a ritardi nei pagamenti, con conseguenti aggravi per eventuali interessi legali e moratori, sono tutt’altro che remote, tenuto conto dei tempi per la richiesta che l’Ente deve formulare al fine della verifica e di quelli per la relativa risposta.

Permane, in ogni caso, un evidente discrimine in danno dell’efficacia della riscossione coattiva direttamente realizzata dagli enti locali a mezzo ingiunzione ex R.D. 14 aprile 1910, n. 639: se questi ultimi hanno l’obbligo normativo di bloccare i pagamenti dagli stessi dovuti in favore dei debitori dell’Erario e degli altri soggetti, anche Enti locali, che riscuotono mediante ruolo, perché non sono destinatari di tale corrispondente prescrizione?

Non si può che prendere atto del persistere di una tendenza legislativa inequivocabilmente a sfavore dei Comuni, soprattutto quelli che, con difficoltà e sforzi notevoli, si sono attrezzati in proprio, anche attraverso forme associative, per agire coattivamente avverso i propri debitori: a) da un lato perché, come altre p.a., sono chiamati ad adempimenti istruttori ulteriori e particolarmente gravosi (verifica e blocco dei pagamenti) che, non da ultimo, li espone a evidenti responsabilità; b) dall’altro, in quanto non sono destinatari degli strumenti a potenziamento della riscossione coattiva, introdotti ed ampliati, unicamente a vantaggio della riscossione a mezzo ruolo.

Art. 1, commi 986987988989L. 27 dicembre 2017, n. 205 (G.U. 29 dicembre 2017, n. 302, S.O.)