https://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpg00ENZOhttps://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpgENZO2018-03-01 06:01:142018-03-01 06:17:47MARCO SIGAUDO: PRIVACY - LA NUOVA NORMATIVA. BRESCIA 29 MARZO
La vicenda, come noto, si è sviluppata intorno al dettato dell’articolo 113 del codice dei contratti – ante modifica apportata con il la Legge di Bilancio per il 2018 – ed all’acclarata non perfetta sovrapponibilità rispetto alle norme del pregresso codice in tema di incentivi di progettazione. Il Sindaco di un Comune pugliese, prendendo atto dalla modifica apportata all’articolo 113 del codice dall’art. 1, comma 526, della l. n. 205/2017, ed al fine di pervenire alla corretta interpretazione della disposizione chiede definitivi chiarimenti sulla possibilità di non ritenere gli incentivi più “inclusi tra le risorse destinate al trattamento accessorio” con conseguente esclusione “dalla voce di spesa del personale per essere allocati al titolo II nell’ambito delle spese di investimento”. A questo orientamento sono approdate già le recenti deliberazioni della sezione del Veneto e della regione Umbria (rispettivamente con la deliberazione n. 6 e 14/2018). Con i pareri richiamati si è infine sostenuto che gli incentivi per funzioni tecniche (a far data dal 1° gennaio 2018) “non rientrerebbero nei capitoli della spesa del personale, ma dovrebbero essere ricompresi nel costo complessivo dell’opera” e che con la modifica apportata con la legge di bilancio (secondo la sezione della regione Umbria) “il legislatore ha voluto, pertanto, chiarire come gli incentivi non confluiscono nel capitolo di spesa relativo al trattamento accessorio (sottostando ai limiti di spesa previsti dalla normativa vigente) ma fanno capo al capitolo di spesa dell’appalto ed ha concluso per l’esclusione degli incentivi tecnici dal computo rilevante ai fini dall’articolo 23, comma 2, del D. Lgs n. 75/2017 rilevando che l’art. 113, ai commi 1 e 2, già dispone che tutte le spese afferenti gli appalti di lavori, servizi o forniture devono trovare imputazione sugli stanziamenti previsti per i predetti appalti”.
Il deferimento alle Sezioni riunite
La sezione pugliese, come si legge nella deliberazione, non appare totalmente persuasa delle riflessioni espresse, ritenendo anche che ogni volta che il legislatore abbia voluto sancire delle esclusioni da precisi vincoli/limiti di spesa ha provveduto a specificarlo espressamente. Secondo quanto si legge nel parere occorre comunque “considerare che l’appostazione contabile degli incentivi di natura tecnica nell’ambito del “medesimo capitolo di spesa” previsto per i singoli lavori, servizi o forniture” non è in grado di mutare “la natura di spesa corrente trattandosi, in ogni caso, di emolumenti di tipo accessorio spettanti al personale e conseguentemente la contabilizzazione prescritta ora dal legislatore apparentemente diretta a qualificare tale spesa nell’ambito della spesa per investimenti non sembra poter consentire di desumere sic et simpliciter l’esclusione di tali risorse dalla spesa del personale e dalla spesa per il trattamento accessorio”. Ed è proprio su questo aspetto che si rendere necessario “un ulteriore intervento nomofilattico considerato, peraltro, che l’allocazione contabile di una posta nell’ambito della spesa per investimenti piuttosto che nella spesa corrente produce anche inevitabili riflessi sugli equilibri di bilancio degli enti”. Oltre alla mancanza di un chiaro riferimento normativo (“un’espressa volutas legis”) che preveda l’esclusione degli incentivi per funzioni tecniche sia dai vincoli previsti dal legislatore per la spesa del personale che per la spesa per il trattamento accessorio, la sezione rileva che “qualora dall’allocazione in bilancio al medesimo capitolo di spesa previsto per i lavori, servizi o forniture si desumesse l’inserimento di tali risorse nell’ambito della spesa di investimento potrebbe ravvisarsi un contrasto con la disciplina di cui all’art. 3, comma 18, della L. 24/12/2003 n. 350 che stabilisce, ai fini di cui all’art. 119, sesto comma, della Costituzione” che contiene una definizione di ciò che costituisce investimento non ricomprendendo, evidentemente, le spese in questione. In particolare, ai sensi della normativa citata costituiscono spese di investimento: a) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali; b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti; c) l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale; d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale; e) l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose; f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti; g) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni; h) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all’erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata. i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio. Alla luce di quanto, la sezione sottopone al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alle Sezioni riunite in sede di controllo o alla Sezione delle Autonomie la questione di massima al fine di assicurare il “superamento di contrasti da parte delle Sezioni regionali di controllo ed un’interpretazione uniforme della disposizione recentemente introdotta dalla legge di stabilità 2018 che si inserisce in un contesto normativo per il quale risultano già intervenute la deliberazione delle Sezioni riunite in sede di controllo n. 51/2011 e da ultimo, le deliberazioni delle Sezioni delle Autonomie” n. 18/2016, 7 e 24/2017.
https://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpg00ENZOhttps://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpgENZO2018-02-20 08:06:552018-02-20 08:06:55La querelle sulla natura giuridica della spesa per gli incentivi deferita alle Sezioni riunite
Ad una semplice domanda che qualsiasi operatore della gestione del personale, ad un certo punto dell’attività assolta, deve necessariamente porsi, ovvero se l’amministrazione ha facoltà di assunzione e in quale ambito limitativo l’ente possa muoversi, la risposta che il vigente sistema normativo offre passa attraverso un’impervia ricostruzione delle facoltà assunzionali che ciascuna amministrazione è tenuta a ripercorrere, transitando attraverso un non sempre agevole percorso di focalizzazione del quadro legislativo applicabile.
Un assetto in “movimento” Il groviglio dispositivo si è nel tempo generato in quanto, da un assetto di progressiva liberalizzazione delle assunzioni dettata dal Dl n. 90/2014, ancorché nei limiti del turn over originatosi l’anno precedente, si è passati ad una continua legislazione d’urgenza che, al fine del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha successivamente ridotto gli spazi assunzionali, venendo, quanto meno negli ultimi anni, a complicare notevolmente l’assetto delle possibilità di acquisizione di risorse umane da parte delle amministrazioni locali. Occorre premettere che, salvo diverse prescrizioni che possano intervenire nel tempo, dal prossimo 2019 opera, a regime, si potrebbe dire finalmente, l’impianto che il legislatore aveva, sin dal 2014, congegnato quale assetto definitivo di regolazione delle possibilità assuntive da parte degli enti locali già sottoposti al patto di stabilità interno, attraverso la previsione, puntualmente recata dall’articolo 3, comma 5, del Dl n. 90/2014, di ammettere assunzioni di personale a tempo indeterminato, anche di qualifica dirigenziale, nei limiti di utilizzo del 100% della spesa complessivamente corrispondente a quella derivante dalla cessazione di personale di ruolo occorsa nell’anno precedente, con facoltà di recuperare i residui di spesa ammessa relativi ad assunzioni non effettuate nel triennio precedente all’anno considerato ai fini delle cessazioni. Bene, questo meccanismo di conseguimento progressivo del risultato d’integrale sostituzione di spesa nei limiti dell’anno precedente – obiettivo gradualmente somministrato mediante quote percentuali di valore incrementale introdotte a decorrere dal 2014 e che sarebbe dovuto andare a regime nel 2018 – è stato sovvertito da molteplici interventi normativi che, nel corso dell’ultimo triennio, hanno prodotto una confusa serie di prescrizioni che ne hanno mutato completamente la fisionomia, riducendone significativamente la portata prima, per poi integrare il perimetro normativo di riferimento con successivi incrementi delle facoltà assunzionali graduandone l’ammissibilità in relazione alla presenza di fattori razionalizzanti.
Il quadro delle norme Il prodotto di tali interventi, quindi, può essere riassunto in un incalzante succedersi di disposizioni legislative che, spesso rinvenibili in provvedimenti d’urgenza, ha completamente trasfigurato il quadro dispositivo di riferimento, sostituendo, all’impianto di base costituito dal citato Dl n. 90/2014, un regime transitorio che s’impernia sull’articolo 1, comma 228, della legge n. 208/2015, il cui meccanismo, infatti, fatti salvi interventi successivi sempre in agguato, cede il passo al predetto impianto di base a far tempo dal 2019, atteso che a conclusione del corrente esercizio 2018 si estingueranno gli effetti transitori determinati da tale disposizione legislativa. Lo scenario prescrittivo che, nel tempo, si è prodotto, pertanto, attraverso una ricognizione estesa all’ultimo triennio, può così rappresentarsi, secondo una scansione temporale che rende significativa la progressione di norme che si sono succedute in materia: 1) articolo 1, comma 228, della legge n. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016): per gli anni 2016, 2017 e 2018 gli enti soggetti al patto di stabilità interno possono assumere personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nei limiti di spesa corrispondente al 25% di quella relativa alle cessazioni intervenute nell’anno precedente. Per il personale con qualifica dirigenziale, pertanto, in assenza di disposizioni derogatorie, restano operanti le limitazioni di cui al citato articolo 3, comma 5, del Dl 90, ovvero, per il biennio 2016 e 2017, l’80% della spesa relativa alle cessazioni di personale dirigenziale occorse nell’anno precedente e del 100% della spesa stessa a decorrere dal corrente esercizio 2018. Il comma 229 del medesimo articolo 1, poi, regola le facoltà assunzionali dei comuni istituiti a seguito di fusione intervenuta dal 2011 e delle unioni di comuni, che guadagnano la possibilità di sostituzione in regime di turn over pieno rispetto alla spesa delle cessazioni di personale di ruolo intervenuta nell’anno precedente (100% della spesa conseguente a tali cessazioni); 2) articolo 16 del Dl n. 113/2016: restano ferme le facoltà assunzionali per le amministrazioni locali non soggette al patto di stabilità interno nel corso del 2015 ai sensi dell’articolo 1, comma 562, della legge n. 296/2006, pertanto tali enti possono proseguire all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, quindi con riferimento ad un regime di sostituzione integrale delle cessazioni intervenute nell’anno precedente non fondato sulla spesa originata dalle stesse, bensì determinato dalle unità cessate. La norma, poi, mediante l’integrazione del comma 1-bis introduce un incremento della facoltà assunzionale al 75% della spesa delle cessazioni intervenute nell’anno precedente a favore delle amministrazioni comunali con popolazione inferiore ai 10mila abitanti che presentino un rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica, come definito triennalmente con il decreto del ministro dell’Interno di cui all’articolo 263, comma 2, del testo unico di cui al Dlgs n. 267/2000 (oggi Dm 10 aprile 2017 per il triennio 2017-2019); 3) articolo 1, comma 479, lett. d), della legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017): la prescrizione normativa introduce un regime di premialità assunzionale che può essere applicato solo a decorrere dall’anno 2018, a favore dei soli comuni che abbiano rispettato il saldo finanziario previsto dal comma 466 della legge stessa, lasciando spazi finanziari inutilizzati inferiori all’1% degli accertamenti delle entrate finali dell’esercizio nel quale è rispettato il medesimo saldo. Per tali enti, infatti, nell’anno successivo la percentuale assunzionale del 25% stabilita dalla legge a regime è rideterminata nel 75%, sempreché, tuttavia, il rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica di cui sopra. Questa ultima condizione, a ben vedere, sovrapponendosi a quella prevista ai sensi del sopra richiamato articolo 16, rende poco appetibile l’obiettivo di virtuosità finanziaria definito dalla norma; 4) articolo 22, commi 2 e 3, del Dl n. 50/2017: il comma 2 del provvedimento d’urgenza amplia le facoltà assunzionali premiali già previste dall’articolo 16 del Dl 113, estendendole indistintamente ai comuni superiori ai 10mila abitanti, e non più, invece, ai soli comuni inferiori ai 10mila abitanti, limitando, tuttavia, la portata della disposizione ai soli anni 2017 e 2018, mentre il comma 3 dell’articolo 22 estende la percentuale assunzionale vista al punto precedente al 90% della spesa relativa alle cessazioni dell’anno precedente, quale reazione dell’ordinamento, evidentemente, alla scarsa appetibilità del regime premiale dettato dalla norma in presenza delle condizioni di virtuosità che, già da sole, sono in grado di consentire l’elevazione della capacità assunzionale al 75% della spesa relativa alle cessazioni di personale avvenute nell’anno precedente. In sede di conversione, poi, la norma si arricchisce di un’ulteriore previsione che, in ragione della specifica formulazione, appare quale prescrizione a regime e non di carattere transitorio. Tale disposizione, infatti, statuisce che per i comuni con popolazione compresa tra mille e 3mila abitanti che rilevano, nell’anno precedente, una spesa per il personale inferiore al 24% della media delle entrate correnti registrate nei conti consuntivi dell’ultimo triennio, la percentuale relativa alle facoltà assunzionali è innalzata al 100% della spesa relativa alle cessazioni occorse nell’anno precedente; 5) articolo 1, comma 863, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018): la norma amplia la platea dei comuni che possono beneficiare della clausola premiale da ultimo indicata al punto precedente, sostituendo il limite di popolazione dei 3mila abitanti con quello, più esteso, di 5mila abitanti, estendendo, in tal modo, il numero delle amministrazioni destinatarie del beneficio premiale; 6) restano impregiudicate, nell’ambito di questo quadro disciplinatorio di riferimento, le norme speciali che regolano facoltà assunzionali esercitabili in relazione a specifiche categorie di lavoratori, con particolare riferimento alle disposizioni recate dall’articolo 7, comma 2-bis, del Dl n. 14/2017, il quale prescrive che, peril rafforzamento delle attività connesse al controllo del territorio e al fine di dare massima efficacia alle disposizioni in materia di sicurezza urbana contenute nel provvedimento stesso, negli anni 2017 e 2018 i comuni che, nell’anno precedente, abbiano rispettato gli obiettivi del pareggio di bilancio possono assumere, a tempo indeterminato, personale di polizia locale nel limite di spesa individuato applicando le percentuali stabilite dall’articolo 3, comma 5, del Dl n. 90/2014, ovvero, nel corso del 2018, pari al 100% della spesa relativa al personale della medesima tipologia cessato nell’anno precedente, fermo restando il rispetto del limite di spesa di personale. Tali cessazioni, ovviamente, operando per specifiche professionalità in senso ampliativo, non possono rilevare anche ai fini del calcolo delle facoltà assunzionali relative al restante personale.
Osservazioni conclusive Come si vede dalla ricostruzione temporale sopra rappresentata, dunque, siamo ancora lontani da una reale semplificazione delle norme che regolano le assunzioni nelle amministrazioni locali, situazione che genera non solo costi elevati, in termini di tempo dedicato alla ricognizione del quadro normativo e alla sua comprensione, bensì origina incertezze applicative e complessità gestionali nell’azione di computo e nella sua pratica traduzione. L’ennesima complicazione in danno degli operatori del personale, anche nell’ambito di un assetto normativo che, per rilevanza e celerità, non dovrebbe presentare incertezza alcuna.
https://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpg00ENZOhttps://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpgENZO2018-02-20 08:05:352018-02-20 08:05:41Sul turn over la semplificazione è ancora lontana
Oneri di urbanizzazione fuori dalla cassa vincolata
di Gianni Trovati
Gli oneri di urbanizzazione non rientrano fra le entrate vincolate, nonostante i tentativi normativi di re-indirizzarne l’utilizzo verso la manutenzione delle strade e del patrimonio edilizio. L’indicazione arriva dalla commissione Arconet, che nell’ultima Faq sull’armonizzazione ha etichettano le indicazioni di legge come una «generica destinazione ad una categoria di spese», che di conseguenza non rappresentano «un vincolo di destinazione specifico».
Utilizzi possibili
In questo modo, la commissione ha sciolto i dubbi dell’ultima norma sul tema, scritta nella manovra per il 2017 (comma 460 della legge 232/2016) ma in vigore solo dal 1° gennaio scorso. Per chiudere la lunga epoca degli utilizzi “liberi” degli oneri di urbanizzazione, permessi dalle proroghe continue che li hanno trasformati in un entrata generica per far quadrare i conti locali, la regola ha chiesto di impiegare i proventi da titoli edilizi e le sanzioni per un elenco preciso di destinazioni: manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione, al risanamento di centri storici e periferie, lotta all’abusivismo, aree verdi pubbliche e interventi di riqualificazione contro il rischio sismico e idrogeologico. Un elenco ampio, in cui rientrano anche le «spese di progettazione per opere pubbliche», ma «esclusivo», come precisa la stessa norma.
Le istruzioni
Tanta precisione, interviene però ora Arconet, non basta a configurare «un vincolo di destinazione specifico», e di conseguenza non impone di adeguare la cassa vincolata per conteggiare anche il versamento degli oneri ante-2018. Un’indicazione di questo tipo era ipotizzabile in base alla configurazione della norma (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 2 febbraio), ma solo le istruzioni ufficiali di Arconet hanno potuto chiudere un’incognita che rischiava di complicare ulteriormente la gestione della tesoreria.
https://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpg00ENZOhttps://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpgENZO2018-02-20 08:03:592018-02-20 08:03:59Oneri di urbanizzazione fuori dalla cassa vincolata
Come nostra abitudine, proponiamo di seguito un foglio di calcolo utile per la costituzione del fondo dell’anno 2018, aggiornato sulla base del vigente art. 23 del d.lgs. 75/2017, e comprensivo delle modalità di controllo dei diversi limiti del trattamento accessorio imposti dal legislatore negli anni passati.
Punto di partenza, anche questa volta, è stato il noto file di Excel® predisposto dall’ ARAN già nel 2014, strumento utile soprattutto sia per il controllo delle operazioni di decurtazione effettuate ai fini del rispetto delle limitazioni imposte dal legislatore, alla luce delle diverse interpretazioni fornite dai magistrati contabili e dalla Ragioneria generale dello Stato, sia per quanto riguarda le voci incluse ed escluse dal tetto di riferimento. Quello che segue è pertanto un foglio di calcolo il più aggiornato possibile,che tiene conto degli orientamenti giurisprudenziali e/o istruzioni operative, ormai consolidati. Ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 75/2017, anche nel 2018 il totale del trattamento accessorio non può essere superiore a quello dell’anno 2016, senza alcuna verifica da effettuare sulla riduzione del personale in servizio.
Pertanto, abbiamo focalizzato e posto in prima linea le colonne relative agli anni 2016 e 2018, ai fini del controllo dei disposti legislativi vigenti, omettendo la colonna relativa all’anno 2017 per evitare la tentazione di farvi riferimento: ripetiamo che l’anno da prendere a riferimento è infatti il 2016.
Anche alla luce delle interpretazioni contrastanti e dell’invio della questione alla Sezione Autonomie (avvenuta qualche giorno fa da parte della Sezione della Puglia con la deliberazione n. 9/2018), per il momento abbiamo lasciato gli incentivi per funzioni tecniche sia tra le voci incluse che tra quelle escluse ai fini del rispetto dei vincoli finanziari.
https://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpg00ENZOhttps://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpgENZO2018-02-19 08:41:592018-02-19 08:55:20Il file per il controllo sul Fondo 2018
LA SETTIMANA COMUNALE DI SAN BONIFACIO DAL 21 AL 26 MAGGIO
CICLI FORMATIVI PER DIPENDENTI ED OPERATORI DEGLI ENTI LOCALI
CONTABILITA’ TRIBUTI FUTURO DIGITALE
REDDITIVITA’ DEL PATRIMONIO INVENTARI PRIVACY
PROSSIMAMENTE I DETTAGLI DELLE SETTIMANE FORMATIVE
https://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpg00ENZOhttps://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpgENZO2018-02-18 19:59:492018-02-19 11:23:34la FORMAZIONE dell'ASSOCIAZIONE: gli eventi di maggio
Il comune non deve svolgere attività di accertamento in caso di omesso pagamento della tassa rifiuti e non può applicare la sanzione del 30%. L’accertamento deve essere emanato solo in presenza di una dichiarazione omessa o infedele. Se l’amministrazione comunale ha richiesto la tassa determinandola sulla base di quanto ha dichiarato il contribuente, le somme non pagate vanno riscosse direttamente a mezzo ruolo o ingiunzione. L’importante principio è stato affermato dalla Cassazione, con l’ordinanza 3184 del 9 febbraio 2018.
Finalmente si è pronunciata la Cassazione sulla questione riguardante l’accertamento per omesso pagamento della tassa rifiuti. Forma da tempo oggetto di dibattito, infatti, l’applicabilità o meno della sanzione del 30% per omesso pagamento, irrogabile con l’emanazione dell’avviso di accertamento.
Per i giudici di piazza Cavour, l’articolo 72 del decreto legislativo 507/1993, richiamato per la violazione commessa dal contribuente in materia di Tia, «consente ai comuni di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo, senza necessità di adottare e notificare un avviso di accertamento». Solo però «nei casi in cui la liquidazione avvenga sulla base dei ruoli dell’anno precedente, cioè sulla base di dati ed elementi già acquisiti, e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione». Va fatto ricorso all’attività di accertamento, invece, qualora la dichiarazione non sia stata presentata o contenga dei dati non corretti. Secondo la Cassazione, i dati relativi all’iscrizione a ruolo dell’anno precedente, utilizzati per la liquidazione, possono «considerarsi acquisiti, cioè definitivi, risultando o dalla stessa dichiarazione del contribuente o da un accertamento dell’Ufficio divenuto inoppugnabile». L’incertezza del dato utilizzato, a seguito della contestazione da parte dell’interessato, comporta la necessità dell’adozione dell’avviso di accertamento, in quanto l’amministrazione è tenuta a specificare «le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dai dati ed elementi indicati nella dichiarazione».
La Cassazione, la cui tesi è pienamente condivisibile, esclude dunque l’attività di accertamento in presenza di un omesso pagamento della tassa e, per l’effetto, anche la contestazione della sanzione. Al mancato pagamento consegue la riscossione coattiva delle somme dovute, a mezzo ruolo o ingiunzione. Peraltro, l’irrogazione della sanzione del 30% si pone in palese contrasto con quanto espressamente disposto dall’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997, applicabile anche alle violazioni riguardanti i tributi locali. Proprio dal titolo dell’articolo 13, che fa riferimento «ai ritardati o omessi versamenti diretti», si rileva che la sanzione per omesso versamento non sia applicabile alla Tarsu. È noto che la riscossione spontanea o volontaria della Tarsu non veniva effettuata in seguito all’autoliquidazione da parte del contribuente alle scadenze fissate dalla legge, così come avviene, per esempio, per l’Ici e l’Imu o per la Tasi. Non essendo previsto il versamento in autoliquidazione non è contestabile la sanzione di omesso pagamento. Al mancato versamento della tassa consegue la riscossione coattiva per inadempimento del contribuente. La sanzione del 30%, invece, è applicabile alla Tares e alla Tari, considerato che le norme di legge che disciplinano questi due tributi prevedono espressamente, non a caso, la violazione di omesso o insufficiente versamento.
https://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpg00ENZOhttps://www.associazionerfc.org/wp-content/uploads/2017/03/LOGO_ARFC.jpgENZO2018-02-16 07:52:542018-02-16 07:59:11Omesso pagamento Tari senza accertamento
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MARCO SIGAUDO: PRIVACY – LA NUOVA NORMATIVA. BRESCIA 29 MARZO
/in Ultime News, Uncategorized /da ENZOMARCO SIGAUDO: PRIVACY – LA NUOVA NORMATIVA
Un momento di approfondimento e confronto sulla normativa in vigore dal 28 maggio
29 marzo 2018 dalle ore 9,00
presso Comune di Brescia – Piazzale della Repubblica 1 – Settore Pubblica Istruzione (Sala Savoldo)
SCARICA LA BROCHURE E ISCRIVITI
La querelle sulla natura giuridica della spesa per gli incentivi deferita alle Sezioni riunite
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Non sembra trovare ancora una pacifica soluzione la tematica relativa alla corretta identificazione della natura giuridica della spesa per gli incentivi per lo svolgimento funzioni tecniche e l’esclusione dal “tetto” del trattamento accessorio nonostante i recenti pareri della sezione di controllo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, deliberazione n. 6/2018/PAR e della sezione Umbria, con deliberazione n. 14/2018/PAR. L’esigenza di un definitivo chiarimento viene sollevata dalla sezione regionale della Puglia con la recente deliberazione 9/2018con deferimento della problematica alle Sezioni riunite in sede di controllo.
I termini della vicenda
La vicenda, come noto, si è sviluppata intorno al dettato dell’articolo 113 del codice dei contratti – ante modifica apportata con il la Legge di Bilancio per il 2018 – ed all’acclarata non perfetta sovrapponibilità rispetto alle norme del pregresso codice in tema di incentivi di progettazione. Il Sindaco di un Comune pugliese, prendendo atto dalla modifica apportata all’articolo 113 del codice dall’art. 1, comma 526, della l. n. 205/2017, ed al fine di pervenire alla corretta interpretazione della disposizione chiede definitivi chiarimenti sulla possibilità di non ritenere gli incentivi più “inclusi tra le risorse destinate al trattamento accessorio” con conseguente esclusione “dalla voce di spesa del personale per essere allocati al titolo II nell’ambito delle spese di investimento”. A questo orientamento sono approdate già le recenti deliberazioni della sezione del Veneto e della regione Umbria (rispettivamente con la deliberazione n. 6 e 14/2018). Con i pareri richiamati si è infine sostenuto che gli incentivi per funzioni tecniche (a far data dal 1° gennaio 2018) “non rientrerebbero nei capitoli della spesa del personale, ma dovrebbero essere ricompresi nel costo complessivo dell’opera” e che con la modifica apportata con la legge di bilancio (secondo la sezione della regione Umbria) “il legislatore ha voluto, pertanto, chiarire come gli incentivi non confluiscono nel capitolo di spesa relativo al trattamento accessorio (sottostando ai limiti di spesa previsti dalla normativa vigente) ma fanno capo al capitolo di spesa dell’appalto ed ha concluso per l’esclusione degli incentivi tecnici dal computo rilevante ai fini dall’articolo 23, comma 2, del D. Lgs n. 75/2017 rilevando che l’art. 113, ai commi 1 e 2, già dispone che tutte le spese afferenti gli appalti di lavori, servizi o forniture devono trovare imputazione sugli stanziamenti previsti per i predetti appalti”.
Il deferimento alle Sezioni riunite
La sezione pugliese, come si legge nella deliberazione, non appare totalmente persuasa delle riflessioni espresse, ritenendo anche che ogni volta che il legislatore abbia voluto sancire delle esclusioni da precisi vincoli/limiti di spesa ha provveduto a specificarlo espressamente. Secondo quanto si legge nel parere occorre comunque “considerare che l’appostazione contabile degli incentivi di natura tecnica nell’ambito del “medesimo capitolo di spesa” previsto per i singoli lavori, servizi o forniture” non è in grado di mutare “la natura di spesa corrente trattandosi, in ogni caso, di emolumenti di tipo accessorio spettanti al personale e conseguentemente la contabilizzazione prescritta ora dal legislatore apparentemente diretta a qualificare tale spesa nell’ambito della spesa per investimenti non sembra poter consentire di desumere sic et simpliciter l’esclusione di tali risorse dalla spesa del personale e dalla spesa per il trattamento accessorio”. Ed è proprio su questo aspetto che si rendere necessario “un ulteriore intervento nomofilattico considerato, peraltro, che l’allocazione contabile di una posta nell’ambito della spesa per investimenti piuttosto che nella spesa corrente produce anche inevitabili riflessi sugli equilibri di bilancio degli enti”. Oltre alla mancanza di un chiaro riferimento normativo (“un’espressa volutas legis”) che preveda l’esclusione degli incentivi per funzioni tecniche sia dai vincoli previsti dal legislatore per la spesa del personale che per la spesa per il trattamento accessorio, la sezione rileva che “qualora dall’allocazione in bilancio al medesimo capitolo di spesa previsto per i lavori, servizi o forniture si desumesse l’inserimento di tali risorse nell’ambito della spesa di investimento potrebbe ravvisarsi un contrasto con la disciplina di cui all’art. 3, comma 18, della L. 24/12/2003 n. 350 che stabilisce, ai fini di cui all’art. 119, sesto comma, della Costituzione” che contiene una definizione di ciò che costituisce investimento non ricomprendendo, evidentemente, le spese in questione. In particolare, ai sensi della normativa citata costituiscono spese di investimento: a) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali; b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti; c) l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale; d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale; e) l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose; f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti; g) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni; h) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all’erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata. i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio. Alla luce di quanto, la sezione sottopone al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alle Sezioni riunite in sede di controllo o alla Sezione delle Autonomie la questione di massima al fine di assicurare il “superamento di contrasti da parte delle Sezioni regionali di controllo ed un’interpretazione uniforme della disposizione recentemente introdotta dalla legge di stabilità 2018 che si inserisce in un contesto normativo per il quale risultano già intervenute la deliberazione delle Sezioni riunite in sede di controllo n. 51/2011 e da ultimo, le deliberazioni delle Sezioni delle Autonomie” n. 18/2016, 7 e 24/2017.
Sul turn over la semplificazione è ancora lontana
/in Ultime News /da ENZOSul turn over la semplificazione è ancora lontana
di Luca Tamassia
Ad una semplice domanda che qualsiasi operatore della gestione del personale, ad un certo punto dell’attività assolta, deve necessariamente porsi, ovvero se l’amministrazione ha facoltà di assunzione e in quale ambito limitativo l’ente possa muoversi, la risposta che il vigente sistema normativo offre passa attraverso un’impervia ricostruzione delle facoltà assunzionali che ciascuna amministrazione è tenuta a ripercorrere, transitando attraverso un non sempre agevole percorso di focalizzazione del quadro legislativo applicabile.
Un assetto in “movimento” Il groviglio dispositivo si è nel tempo generato in quanto, da un assetto di progressiva liberalizzazione delle assunzioni dettata dal Dl n. 90/2014, ancorché nei limiti del turn over originatosi l’anno precedente, si è passati ad una continua legislazione d’urgenza che, al fine del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha successivamente ridotto gli spazi assunzionali, venendo, quanto meno negli ultimi anni, a complicare notevolmente l’assetto delle possibilità di acquisizione di risorse umane da parte delle amministrazioni locali. Occorre premettere che, salvo diverse prescrizioni che possano intervenire nel tempo, dal prossimo 2019 opera, a regime, si potrebbe dire finalmente, l’impianto che il legislatore aveva, sin dal 2014, congegnato quale assetto definitivo di regolazione delle possibilità assuntive da parte degli enti locali già sottoposti al patto di stabilità interno, attraverso la previsione, puntualmente recata dall’articolo 3, comma 5, del Dl n. 90/2014, di ammettere assunzioni di personale a tempo indeterminato, anche di qualifica dirigenziale, nei limiti di utilizzo del 100% della spesa complessivamente corrispondente a quella derivante dalla cessazione di personale di ruolo occorsa nell’anno precedente, con facoltà di recuperare i residui di spesa ammessa relativi ad assunzioni non effettuate nel triennio precedente all’anno considerato ai fini delle cessazioni. Bene, questo meccanismo di conseguimento progressivo del risultato d’integrale sostituzione di spesa nei limiti dell’anno precedente – obiettivo gradualmente somministrato mediante quote percentuali di valore incrementale introdotte a decorrere dal 2014 e che sarebbe dovuto andare a regime nel 2018 – è stato sovvertito da molteplici interventi normativi che, nel corso dell’ultimo triennio, hanno prodotto una confusa serie di prescrizioni che ne hanno mutato completamente la fisionomia, riducendone significativamente la portata prima, per poi integrare il perimetro normativo di riferimento con successivi incrementi delle facoltà assunzionali graduandone l’ammissibilità in relazione alla presenza di fattori razionalizzanti.
Il quadro delle norme Il prodotto di tali interventi, quindi, può essere riassunto in un incalzante succedersi di disposizioni legislative che, spesso rinvenibili in provvedimenti d’urgenza, ha completamente trasfigurato il quadro dispositivo di riferimento, sostituendo, all’impianto di base costituito dal citato Dl n. 90/2014, un regime transitorio che s’impernia sull’articolo 1, comma 228, della legge n. 208/2015, il cui meccanismo, infatti, fatti salvi interventi successivi sempre in agguato, cede il passo al predetto impianto di base a far tempo dal 2019, atteso che a conclusione del corrente esercizio 2018 si estingueranno gli effetti transitori determinati da tale disposizione legislativa. Lo scenario prescrittivo che, nel tempo, si è prodotto, pertanto, attraverso una ricognizione estesa all’ultimo triennio, può così rappresentarsi, secondo una scansione temporale che rende significativa la progressione di norme che si sono succedute in materia: 1) articolo 1, comma 228, della legge n. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016): per gli anni 2016, 2017 e 2018 gli enti soggetti al patto di stabilità interno possono assumere personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nei limiti di spesa corrispondente al 25% di quella relativa alle cessazioni intervenute nell’anno precedente. Per il personale con qualifica dirigenziale, pertanto, in assenza di disposizioni derogatorie, restano operanti le limitazioni di cui al citato articolo 3, comma 5, del Dl 90, ovvero, per il biennio 2016 e 2017, l’80% della spesa relativa alle cessazioni di personale dirigenziale occorse nell’anno precedente e del 100% della spesa stessa a decorrere dal corrente esercizio 2018. Il comma 229 del medesimo articolo 1, poi, regola le facoltà assunzionali dei comuni istituiti a seguito di fusione intervenuta dal 2011 e delle unioni di comuni, che guadagnano la possibilità di sostituzione in regime di turn over pieno rispetto alla spesa delle cessazioni di personale di ruolo intervenuta nell’anno precedente (100% della spesa conseguente a tali cessazioni); 2) articolo 16 del Dl n. 113/2016: restano ferme le facoltà assunzionali per le amministrazioni locali non soggette al patto di stabilità interno nel corso del 2015 ai sensi dell’articolo 1, comma 562, della legge n. 296/2006, pertanto tali enti possono proseguire all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, quindi con riferimento ad un regime di sostituzione integrale delle cessazioni intervenute nell’anno precedente non fondato sulla spesa originata dalle stesse, bensì determinato dalle unità cessate. La norma, poi, mediante l’integrazione del comma 1-bis introduce un incremento della facoltà assunzionale al 75% della spesa delle cessazioni intervenute nell’anno precedente a favore delle amministrazioni comunali con popolazione inferiore ai 10mila abitanti che presentino un rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica, come definito triennalmente con il decreto del ministro dell’Interno di cui all’articolo 263, comma 2, del testo unico di cui al Dlgs n. 267/2000 (oggi Dm 10 aprile 2017 per il triennio 2017-2019); 3) articolo 1, comma 479, lett. d), della legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017): la prescrizione normativa introduce un regime di premialità assunzionale che può essere applicato solo a decorrere dall’anno 2018, a favore dei soli comuni che abbiano rispettato il saldo finanziario previsto dal comma 466 della legge stessa, lasciando spazi finanziari inutilizzati inferiori all’1% degli accertamenti delle entrate finali dell’esercizio nel quale è rispettato il medesimo saldo. Per tali enti, infatti, nell’anno successivo la percentuale assunzionale del 25% stabilita dalla legge a regime è rideterminata nel 75%, sempreché, tuttavia, il rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica di cui sopra. Questa ultima condizione, a ben vedere, sovrapponendosi a quella prevista ai sensi del sopra richiamato articolo 16, rende poco appetibile l’obiettivo di virtuosità finanziaria definito dalla norma; 4) articolo 22, commi 2 e 3, del Dl n. 50/2017: il comma 2 del provvedimento d’urgenza amplia le facoltà assunzionali premiali già previste dall’articolo 16 del Dl 113, estendendole indistintamente ai comuni superiori ai 10mila abitanti, e non più, invece, ai soli comuni inferiori ai 10mila abitanti, limitando, tuttavia, la portata della disposizione ai soli anni 2017 e 2018, mentre il comma 3 dell’articolo 22 estende la percentuale assunzionale vista al punto precedente al 90% della spesa relativa alle cessazioni dell’anno precedente, quale reazione dell’ordinamento, evidentemente, alla scarsa appetibilità del regime premiale dettato dalla norma in presenza delle condizioni di virtuosità che, già da sole, sono in grado di consentire l’elevazione della capacità assunzionale al 75% della spesa relativa alle cessazioni di personale avvenute nell’anno precedente. In sede di conversione, poi, la norma si arricchisce di un’ulteriore previsione che, in ragione della specifica formulazione, appare quale prescrizione a regime e non di carattere transitorio. Tale disposizione, infatti, statuisce che per i comuni con popolazione compresa tra mille e 3mila abitanti che rilevano, nell’anno precedente, una spesa per il personale inferiore al 24% della media delle entrate correnti registrate nei conti consuntivi dell’ultimo triennio, la percentuale relativa alle facoltà assunzionali è innalzata al 100% della spesa relativa alle cessazioni occorse nell’anno precedente; 5) articolo 1, comma 863, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018): la norma amplia la platea dei comuni che possono beneficiare della clausola premiale da ultimo indicata al punto precedente, sostituendo il limite di popolazione dei 3mila abitanti con quello, più esteso, di 5mila abitanti, estendendo, in tal modo, il numero delle amministrazioni destinatarie del beneficio premiale; 6) restano impregiudicate, nell’ambito di questo quadro disciplinatorio di riferimento, le norme speciali che regolano facoltà assunzionali esercitabili in relazione a specifiche categorie di lavoratori, con particolare riferimento alle disposizioni recate dall’articolo 7, comma 2-bis, del Dl n. 14/2017, il quale prescrive che, peril rafforzamento delle attività connesse al controllo del territorio e al fine di dare massima efficacia alle disposizioni in materia di sicurezza urbana contenute nel provvedimento stesso, negli anni 2017 e 2018 i comuni che, nell’anno precedente, abbiano rispettato gli obiettivi del pareggio di bilancio possono assumere, a tempo indeterminato, personale di polizia locale nel limite di spesa individuato applicando le percentuali stabilite dall’articolo 3, comma 5, del Dl n. 90/2014, ovvero, nel corso del 2018, pari al 100% della spesa relativa al personale della medesima tipologia cessato nell’anno precedente, fermo restando il rispetto del limite di spesa di personale. Tali cessazioni, ovviamente, operando per specifiche professionalità in senso ampliativo, non possono rilevare anche ai fini del calcolo delle facoltà assunzionali relative al restante personale.
Osservazioni conclusive Come si vede dalla ricostruzione temporale sopra rappresentata, dunque, siamo ancora lontani da una reale semplificazione delle norme che regolano le assunzioni nelle amministrazioni locali, situazione che genera non solo costi elevati, in termini di tempo dedicato alla ricognizione del quadro normativo e alla sua comprensione, bensì origina incertezze applicative e complessità gestionali nell’azione di computo e nella sua pratica traduzione. L’ennesima complicazione in danno degli operatori del personale, anche nell’ambito di un assetto normativo che, per rilevanza e celerità, non dovrebbe presentare incertezza alcuna.
Oneri di urbanizzazione fuori dalla cassa vincolata
/in Ultime News /da ENZOOneri di urbanizzazione fuori dalla cassa vincolata
di Gianni Trovati
Gli oneri di urbanizzazione non rientrano fra le entrate vincolate, nonostante i tentativi normativi di re-indirizzarne l’utilizzo verso la manutenzione delle strade e del patrimonio edilizio. L’indicazione arriva dalla commissione Arconet, che nell’ultima Faq sull’armonizzazione ha etichettano le indicazioni di legge come una «generica destinazione ad una categoria di spese», che di conseguenza non rappresentano «un vincolo di destinazione specifico».
Utilizzi possibili
In questo modo, la commissione ha sciolto i dubbi dell’ultima norma sul tema, scritta nella manovra per il 2017 (comma 460 della legge 232/2016) ma in vigore solo dal 1° gennaio scorso. Per chiudere la lunga epoca degli utilizzi “liberi” degli oneri di urbanizzazione, permessi dalle proroghe continue che li hanno trasformati in un entrata generica per far quadrare i conti locali, la regola ha chiesto di impiegare i proventi da titoli edilizi e le sanzioni per un elenco preciso di destinazioni: manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione, al risanamento di centri storici e periferie, lotta all’abusivismo, aree verdi pubbliche e interventi di riqualificazione contro il rischio sismico e idrogeologico. Un elenco ampio, in cui rientrano anche le «spese di progettazione per opere pubbliche», ma «esclusivo», come precisa la stessa norma.
Le istruzioni
Tanta precisione, interviene però ora Arconet, non basta a configurare «un vincolo di destinazione specifico», e di conseguenza non impone di adeguare la cassa vincolata per conteggiare anche il versamento degli oneri ante-2018. Un’indicazione di questo tipo era ipotizzabile in base alla configurazione della norma (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 2 febbraio), ma solo le istruzioni ufficiali di Arconet hanno potuto chiudere un’incognita che rischiava di complicare ulteriormente la gestione della tesoreria.
Il file per il controllo sul Fondo 2018
/in Ultime News /da ENZOIl file per il controllo sul Fondo 2018
http://www.gianlucabertagna.it
18-02-2018
Come nostra abitudine, proponiamo di seguito un foglio di calcolo utile per la costituzione del fondo dell’anno 2018, aggiornato sulla base del vigente art. 23 del d.lgs. 75/2017, e comprensivo delle modalità di controllo dei diversi limiti del trattamento accessorio imposti dal legislatore negli anni passati.
Punto di partenza, anche questa volta, è stato il noto file di Excel® predisposto dall’ ARAN già nel 2014, strumento utile soprattutto sia per il controllo delle operazioni di decurtazione effettuate ai fini del rispetto delle limitazioni imposte dal legislatore, alla luce delle diverse interpretazioni fornite dai magistrati contabili e dalla Ragioneria generale dello Stato, sia per quanto riguarda le voci incluse ed escluse dal tetto di riferimento. Quello che segue è pertanto un foglio di calcolo il più aggiornato possibile,che tiene conto degli orientamenti giurisprudenziali e/o istruzioni operative, ormai consolidati. Ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 75/2017, anche nel 2018 il totale del trattamento accessorio non può essere superiore a quello dell’anno 2016, senza alcuna verifica da effettuare sulla riduzione del personale in servizio.
Pertanto, abbiamo focalizzato e posto in prima linea le colonne relative agli anni 2016 e 2018, ai fini del controllo dei disposti legislativi vigenti, omettendo la colonna relativa all’anno 2017 per evitare la tentazione di farvi riferimento: ripetiamo che l’anno da prendere a riferimento è infatti il 2016.
Anche alla luce delle interpretazioni contrastanti e dell’invio della questione alla Sezione Autonomie (avvenuta qualche giorno fa da parte della Sezione della Puglia con la deliberazione n. 9/2018), per il momento abbiamo lasciato gli incentivi per funzioni tecniche sia tra le voci incluse che tra quelle escluse ai fini del rispetto dei vincoli finanziari.
ALLEGATO: FILE DI EXCEL PER VERIFICA DEI LIMITI AL FONDO 2018
la FORMAZIONE dell’ASSOCIAZIONE: gli eventi di maggio
/in Ultime News /da ENZOcon il patrocinio di
Comune di Bergamo Comune di San Bonifacio
E TANTE COLLABORAZIONI
BERGAMO COMUNALE DAL 3 AL 10 MAGGIO
LA SETTIMANA COMUNALE DI SAN BONIFACIO DAL 21 AL 26 MAGGIO
CICLI FORMATIVI PER DIPENDENTI ED OPERATORI DEGLI ENTI LOCALI
CONTABILITA’ TRIBUTI FUTURO DIGITALE
REDDITIVITA’ DEL PATRIMONIO INVENTARI PRIVACY
PROSSIMAMENTE I DETTAGLI DELLE SETTIMANE FORMATIVE
Omesso pagamento Tari senza accertamento
/in Ultime News, Uncategorized /da ENZOOmesso pagamento Tari senza accertamento
di Sergio Trovato
http://www.italiaoggi.it
Il comune non deve svolgere attività di accertamento in caso di omesso pagamento della tassa rifiuti e non può applicare la sanzione del 30%. L’accertamento deve essere emanato solo in presenza di una dichiarazione omessa o infedele. Se l’amministrazione comunale ha richiesto la tassa determinandola sulla base di quanto ha dichiarato il contribuente, le somme non pagate vanno riscosse direttamente a mezzo ruolo o ingiunzione. L’importante principio è stato affermato dalla Cassazione, con l’ordinanza 3184 del 9 febbraio 2018.
Finalmente si è pronunciata la Cassazione sulla questione riguardante l’accertamento per omesso pagamento della tassa rifiuti. Forma da tempo oggetto di dibattito, infatti, l’applicabilità o meno della sanzione del 30% per omesso pagamento, irrogabile con l’emanazione dell’avviso di accertamento.
Per i giudici di piazza Cavour, l’articolo 72 del decreto legislativo 507/1993, richiamato per la violazione commessa dal contribuente in materia di Tia, «consente ai comuni di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo, senza necessità di adottare e notificare un avviso di accertamento». Solo però «nei casi in cui la liquidazione avvenga sulla base dei ruoli dell’anno precedente, cioè sulla base di dati ed elementi già acquisiti, e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione». Va fatto ricorso all’attività di accertamento, invece, qualora la dichiarazione non sia stata presentata o contenga dei dati non corretti. Secondo la Cassazione, i dati relativi all’iscrizione a ruolo dell’anno precedente, utilizzati per la liquidazione, possono «considerarsi acquisiti, cioè definitivi, risultando o dalla stessa dichiarazione del contribuente o da un accertamento dell’Ufficio divenuto inoppugnabile». L’incertezza del dato utilizzato, a seguito della contestazione da parte dell’interessato, comporta la necessità dell’adozione dell’avviso di accertamento, in quanto l’amministrazione è tenuta a specificare «le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dai dati ed elementi indicati nella dichiarazione».
La Cassazione, la cui tesi è pienamente condivisibile, esclude dunque l’attività di accertamento in presenza di un omesso pagamento della tassa e, per l’effetto, anche la contestazione della sanzione. Al mancato pagamento consegue la riscossione coattiva delle somme dovute, a mezzo ruolo o ingiunzione. Peraltro, l’irrogazione della sanzione del 30% si pone in palese contrasto con quanto espressamente disposto dall’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997, applicabile anche alle violazioni riguardanti i tributi locali. Proprio dal titolo dell’articolo 13, che fa riferimento «ai ritardati o omessi versamenti diretti», si rileva che la sanzione per omesso versamento non sia applicabile alla Tarsu. È noto che la riscossione spontanea o volontaria della Tarsu non veniva effettuata in seguito all’autoliquidazione da parte del contribuente alle scadenze fissate dalla legge, così come avviene, per esempio, per l’Ici e l’Imu o per la Tasi. Non essendo previsto il versamento in autoliquidazione non è contestabile la sanzione di omesso pagamento. Al mancato versamento della tassa consegue la riscossione coattiva per inadempimento del contribuente. La sanzione del 30%, invece, è applicabile alla Tares e alla Tari, considerato che le norme di legge che disciplinano questi due tributi prevedono espressamente, non a caso, la violazione di omesso o insufficiente versamento.