La non agibilità dei locali comporta la necessaria chiusura dell’attività commerciale

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La non agibilità dei locali comporta la necessaria chiusura dell’attività commerciale

di Alessandro V. De Silva Vitolo

Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere; di tal che risulta essere potere-dovere dell’autorità amministrativa inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale. È quanto afferma il Tar Campania con la sentenza 4 luglio 2018 n. 4448.

Il caso
La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte di un privato titolare di un’attività commerciale, di un’ordinanza comunale con la quale è stata ingiunta l’immediata chiusura dell’esercizio commerciale, vista la mancanza del certificato di agibilità dei locali presso i quali l’attività veniva svolta.
La peculiarità del caso de quo risiede nella affermata stretta correlazione tra il rilascio di un’autorizzazione commerciale e la conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si svolge.
Infatti, il Tar, ha ammesso come il legittimo esercizio dell’attività commerciale è ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche, per l’intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.
Con ciò disattendendo le istanze del ricorrente in punto di illegittimità del provvedimento di chiusura motivato esclusivamente da ragioni urbanistico – edilizie e non su ragioni sostanziali di insalubrità o anti-igienicità dei locali.

L’approfondimento
Vale dare atto, brevemente, tanto della disciplina contenuta nel Dlgs 31 marzo 1998, n. 114 (Riforma della disciplina relativa al settore del commercio), il cui articolo 7, relativo agli esercizi di vicinato, nella parte rimasta in vigore dopo le modifiche e le abrogazioni apportate con il Dlgs n. 59 del 26 marzo 2010, che impone al soggetto interessato il rispetto dei regolamenti edilizi e delle norme urbanistiche, oltre che di quelle relative alle destinazioni d’uso; quanto degli articoli 24 e seguenti del Dlgs n. 380/2001 che prevede come al presupposto del rispetto delle norme edilizie ed urbanistiche (oggetto della specifica funzione del titolo edilizio) si aggiunga anche quello del rispetto delle norme tecniche vigenti in materia di sicurezza, salubrità, igiene, risparmio energetico degli edifici e degli impianti che il certificato di agibilità aveva la funzione di attestare.

La decisione
Ebbene, il Tar Campania, decidendo per il rigetto del ricorso, ha affermato che nel rilascio dell’autorizzazione commerciale occorre tenere presente i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo se fondato su accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta. Il legittimo esercizio dell’attività commerciale, infatti, a detta del Tar è ancorato, non solo in sede di rilascio dei titoli abilitativi, ma anche per l’intera sua durata di svolgimento, alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere, con conseguente potere-dovere dell’autorità amministrativa di inibire l’attività commerciale esercitata in locali rispetto ai quali siano stati adottati provvedimenti repressivi che accertano l’abusività delle opere realizzate ed applicano sanzioni che precludono in modo assoluto la prosecuzione di un’attività commerciale.

Conclusioni
Nel caso di specie, la mancanza del certificato di agibilità dei locali di svolgimento dell’attività risultava già alla base dell’atto di diffida con il quale il Comune ha contestato alla ricorrente il comportamento inerte dalla stessa tenuto ben oltre i termini concessi ai proprietari, a far data dall’approvazione del Piano urbanistico comunale, per regolarizzare la propria posizione amministrativa ed eliminare i vizi ostativi per il proseguimento dell’attività.
Il Tar ha così accertato che il ricorrente non si fosse dotato del certificato di agibilità o di titolo equipollente, neppure fornendo prova di aver in corso altro procedimento finalizzato a regolarizzare l’aspetto in questione, concentrandosi piuttosto sulla tesi, che si è dimostrata infondata, della sostanziale irrilevanza della semplice mancanza del certificato di agibilità.
Constatata la carenza del presupposto di agibilità, secondo il Tar, bene ha operato il Comune impedendo lo svolgimento dell’attività commerciale mediante l’adozione di un provvedimento di natura doverosa e vincolata.