Speciale nuovo contratto collettivo

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Speciale nuovo contratto/1 – I funzionari prosciugano i fondi decentati
di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

L’obiettivo di semplificazione amministrativa dei fondi decentrati può dirsi non raggiunto. Disegnata nelle linee guida della Funzione pubblica per il rinnovo dei contratti, l’operazione si è concretizzata con il consolidamento delle somme relative al 2017 aventi carattere di stabilità; ma questo, anche se rappresenta una strada già percorsa, può rivelarsi un boomerang per le amministrazioni.
Dal 2018, quindi, la parte stabile del fondo viene ad essere rappresentata da un unico importo, che sarà riportato negli anni successivi. A distanza di 14 anni, viene ripetuta, con contenuto del tutto analogo, la disposizione prevista dall’articolo 31, comma 2, del contratto nazionale del 22 gennaio 2004. Ma la manovra, oggi come allora, può contenere non poche insidie. La più pericolosa consiste nel rendere definitivi eventuali errori o “forzature” contenuti nella costituzione del fondo per il 2017. Il riportare in dettaglio le singole voci di costituzione impone al soggetto che procede alla quantificazione delle risorse a disposizione del salario accessorio una riflessione sulla correttezza di ogni importo indicato. Buttare tutto in un unico calderone spesso comporta invece un’approvazione a occhi chiusi.
Oltre alla conferma degli incrementi per «Ria» e differenziali di posizione economica, il contratto nazionale fissa un aumento di 83,2 euro per ogni dipendente presente al 31 dicembre 2015, la cui decorrenza è però rinviata al 2019. Ma le maggiori risorse derivanti dall’applicazione del contratto collettivo come impattano con il vincolo al salario accessorio? Il contratto nazionale non introduce deroghe, per cui la palla passa alla Corte dei Conti. È evidente che un’interpretazione restrittiva renderebbe vani gli incrementi stessi.

Retribuzione di posizione e di risultato
Una seconda novità, che riguarda gli enti nei quali è prevista la dirigenza, è rappresentata dalla gestione della retribuzione di posizione e di risultato riconosciuta ai titolari di posizione organizzativa fuori dal fondo per il salario accessorio e, quindi, a carico del bilancio, con corrispondente riduzione del fondo. Questo non significa, però, che le amministrazioni possano incrementarne a loro discrezione gli importi. Infatti resta fermo il tetto al trattamento accessorio fissato dall’articolo 23, comma 2, del Dlgs 75/2017. Il contratto nazionale si preoccupa di chiarire che questo vincolo è riferito all’ammontare del fondo e dei compensi destinati alle posizioni organizzative, complessivamente considerati. Rappresenterà, quindi, un problema il solo rispetto della misura minima della retribuzione di risultato, fissata dal contratto nazionale nel 20% delle risorse complessivamente destinate alla retribuzione di posizione e di risultato per questi soggetti, qualora oggi la retribuzione di risultato sia inferiore a questa soglia. Non si comprende come la disposizione, di natura vincolante, si ponga in relazione con l’obbligo di contrattazione previsto dal contratto nazionale quando l’incremento delle risorse destinate alla retribuzione di posizione e di risultato dei titolari di posizione organizzativa comporti una riduzione del fondo.

Tassi di assenza dei dipendenti
Altra causa che può mettere in crisi la gestione del fondo può emergere dall’analisi dei tassi di assenza dei dipendenti. Se nell’amministrazione questi risultano superiori a quelli registrati a livello nazionale, oppure concentrati in prossimità di giorni non lavorativi, l’ente deve individuare obiettivi di miglioramento e, fino al loro conseguimento, scatta il divieto di incremento delle risorse variabili del fondo.

Speciale nuovo contratto/2 – Spazi più ampi per il confronto con i sindacati
di Tiziano Grandelli e Mirco Zamberlan

Relazioni sindacali riscritte completamente dal nuovo contratto collettivo e i rappresentanti dei lavoratori brindano ai successi ottenuti. La nuova disciplina che regolamenta i rapporti fra gli enti datori di lavoro e i sindacati segna sicuramente un punto a favore di questi ultimi, il cui ruolo esce notevolmente rafforzato.
Già l’esordio dell’articolo 3 rappresenta un segnale che l’aria è cambiata. Dopo la “secca” conseguente all’approvazione della riforma Brunetta, i rapporti fra i soggetti che siedono al tavolo della contrattazione devono essere costruttivi, rispettosi dei diritti di ognuno, con lo scopo di prevenire conflitti, bilanciare gli interessi dei cittadini/utenti e dei dipendenti e far crescere, dal punto di vista professionale, i lavoratori.

Confronto
Tre sono i canali attraverso i quali si devono raggiungere gli obiettivi e dai quali si ha la conferma del ruolo più incisivo delle organizzazioni sindacali. Il primo è rappresentato da una nuova forma di relazione sindacale. Confermata l’informazione, viene introdotto il confronto, che può avere per oggetto l’orario di lavoro, i sistemi di valutazione della performance, gli incarichi di posizione organizzativa, tanto per fare qualche esempio. È interessante rilevare come alcune di queste materie coincidano con quelle a suo tempo oggetto di concertazione, previste dall’articolo 8 del contratto 1° aprile 1999 e disapplicate per effetto del Dlgs 150/2009. Il confronto inizia su richiesta di una delle parti entro 5 giorni dal ricevimento dell’informazione e non deve durare più di 30 giorni, al termine dei quali viene redatto un verbale che riporta le posizioni dei soggetti attori. Anche a livello di procedura, il confronto ricalca, per molti aspetti, la vecchia concertazione.

Materie
Un secondo canale è rappresentato dall’ampliamento delle materie oggetto di contrattazione. L’articolo 7 del contratto elenca ben 23 argomenti che devono essere portati sul tavolo della trattativa rispetto agli 11 della previgente disciplina. Oltre a quelli classici (ripartizione del fondo, criteri per l’attribuzione dei premi legati alla performance, criteri per le progressioni economiche), il contratto prevede la contrattazione per la quantificazione dei principali istituti a contenuto economico, nell’ambito degli spazi delineati dal contratto collettivo stesso, quali l’indennità condizioni di lavoro (che comprende le ex indennità di disagio, di rischio e di maneggio valori), l’indennità di servizio esterno (per i vigili che prestano tale servizio), l’indennità per specifiche responsabilità. Sono presenti anche istituti non aventi carattere meramente economico, quali le misure inerenti la sicurezza sui luoghi di lavoro, le fasce di flessibilità oraria e l’elevazione del limite massimo individuale di ore straordinarie.

Osservatorio e organismo paritetico
Ultimo canale è rappresentato dall’istituzione di un osservatorio e di un organismo paritetico. L’osservatorio, a livello nazionale, ha il compito di monitorare l’applicazione unilaterale delle ipotesi di contratto decentrato e di verificare l’adeguata motivazione di tale applicazione, mentre a livello di ente, l’organismo ha il compito di formulare proposte nell’ambito di progetti di organizzazione e di innovazione volti al miglioramento dei servizi. L’organismo è previsto nelle amministrazioni con più di 300 dipendenti.

Speciale nuovo contratto/3 – Codice disciplinare, un mese per il «patteggiamento»
di Arturo Bianco

Introduzione della determinazione concordata della sanzione, adattamento del codice disciplinare alle novità introdotte dal legislatore, a partire dai procedimenti per gli assenteisti colti in flagranza e implementazione degli spazi a disposizione delle amministrazioni per sanzionare le inadempienze. Sono questi i tratti caratterizzanti le scelte della bozza di contratto nazionale del personale del comparto «Funzioni locali».

Obblighi e sanzioni
Agli obblighi del dipendente sono aggiunti gli obblighi dettati dai codici di comportamento nazionale e integrativo, dai vincoli sulla trasparenza e la necessità di informare l’ente dei provvedimenti di rinvio a giudizio per procedimenti penali.
Le sanzioni disciplinari sono confermate e a queste si aggiungono quelle previste dal decreto legislativo 165/2001 per specifiche illegittimità. Per il rimprovero verbale occorre sentire il dipendente e dare corso all’annotazione nel fascicolo personale.

Sicurezza lavoro
L’inosservanza delle disposizioni sulla sicurezza del lavoro è sanzionata nel caso in cui produca un disservizio, per la lesione degli interessi dell’amministrazione o di terzi; la stessa sanzione è disposta per la mancata utilizzazione del cartellino che consente la identificazione da parte del pubblico e in tutti i casi in cui sia derivato un danno per l’ente o gli utenti oppure un disservizio. Ed ancora, la sanzione della sospensione fino a 10 giorni può essere irrogata per il ritardo di oltre cinque giorni (prima erano 10) nel trasferimento.
La sospensione da 11 giorni a 6 mesi deve essere irrogata nel caso di assenze ingiustificate fino a due in continuità con le giornate festive o di riposo, per le assenze collettive quando debba essere garantita l’erogazione di servizi all’utenza. Scompare la disposizione che prevede l’erogazione dell’assegno alimentare, pari al 50% della retribuzione, per i periodi di sospensione.
Per il licenziamento si segnala che quello con preavviso viene disposto per le recidive riferite a sanzioni gravi o plurime, mentre quello senza preavviso potrà essere irrogato anche in presenza di condanne di primo grado per reati particolarmente gravi.
Per tutte le sanzioni, in caso di recidiva, è prevista l’irrogazione di quelle immediatamente superiori. Nel corso del procedimento disciplinare per il quale è prevista la sanzione minima della sospensione, può essere disposta la sospensione dal servizio e dalla retribuzione fino a 30 giorni.

Procedimenti penali
In caso di procedimento penale la sospensione dal servizio è obbligatoria in presenza di restrizioni della libertà personale, e può essere disposta anche se il procedimento disciplinare viene sospeso oppure se cessa la privazione della libertà personale. La sospensione disciplinare dura di regola fino a cinque anni, ma può essere prorogata per ragioni di opportunità o per il rischio di discredito dell’ente.
Per i procedimenti disciplinari per i quali non è previsto il licenziamento, l’ente ed il dipendente possono concordare la sanzione da irrogare. Questa richiesta, che può essere avanzata tanto dal dipendente quanto dall’ente, deve essere presentata entro i cinque giorni successivi all’audizione e l’intesa deve essere trovata entro i 30 giorni successivi alla contestazione. La sanzione così irrogata non è impugnabile.

Speciale nuovo contratto/4 – Contratti flessibili, tetto del 20% ma con una pioggia di eccezioni
di Gianluca Bertagna

Contratto a tempo determinato, contratto di somministrazione e lavoro a tempo parziale. Sono queste le tre tipologie di lavoro flessibile che la bozza di contratto modifica rispetto alla vecchia normativa del contratto del 14 settembre 2000. Le disposizioni del Dlgs 81/2015 hanno di fatto imposto una rivisitazione di queste forme di lavoro rimanendo però imprescindibile l’obbligo di attestare l’esigenza temporanea o eccezionale prevista dall’articolo 36 del Dlgs 165/2001.

Il numero dei contratti
La novità più rilevante risiede nell’individuazione della percentuale massima dei possibili contratti stipulabili e le relative eccezioni. Il numero di contratti a tempo determinato e di contratti di somministrazione a tempo determinato non può superare complessivamente il tetto annuale del 20% del personale a tempo indeterminato in servizio al 1° gennaio dell’anno di assunzione. Si può superare il limite in caso di:
• attivazione di nuovi servizi o riorganizzazione per l’accrescimento di quelli esistenti;
particolari necessità di enti di nuova istituzione;
• introduzione di nuove tecnologie che comportino cambiamenti organizzativi;
supplenze del personale docente ed educativo;
• assunzioni per l’esercizio delle funzioni infungibili della polizia locale e degli assistenti sociali (solo tempo determinato);
• personale su progetti finanziati con fondi Ue, statali, regionali o privati;
• eventi sportivi o culturali di rilievo internazionale;
• proroghe dei contratti di personale a tempo determinato interessato dai processi di stabilizzazione (solo tempo determinato).
Un ventaglio ampio di situazioni che aiuteranno gli enti locali senza cancellare l’obiettivo di superamento del precariato.

Il contratto a tempo determinato
Per quanto riguarda il contratto a tempo determinato, il contratto si occupa di raccordare le disposizioni per i dipendenti a tempo indeterminato con quelle sui lavoratori a termine. Le discipline su trattamenti economici, assenze, permessi, periodo di prova ricalcano quelle già vigenti. Si ribadisce poi l’impossibilità di accedere al contratto di somministrazione per il personale della categoria A, dell’area vigilanza e per gli incarichi a supporto degli organi politici.

Somministrati e part time
Anche ai lavoratori somministrati sarà possibile riconoscere incentivi di produttività, ma gli oneri sono a carico dello stanziamento di spesa per il progetto di attivazione dei contratti stessi, senza imputazione al fondo accessorio.
Anche sul lavoro a tempo parziale la riscrittura riproduce quasi interamente le regole già vigenti. Rimane ancorato al 25% della dotazione organica di ogni categoria il contingente massimo dei part-time possibili. Per i dipendenti incaricati di posizione organizzativa:
• negli enti con la dirigenza, non è possibile ottenere la trasformazione a part-time a meno che non si rinunci all’incarico di responsabilità;
• negli enti privi di dirigenza, la trasformazione è possibile ma con una durata non inferiore al 50% del rapporto a tempo pieno e con l’obbligo di riproporzionare anche il valore della retribuzione di posizione.
Il contratto part time va stipulato per iscritto e deve contenere la collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno. Viene confermato il diritto del dipendente di tornare a tempo pieno, con le conseguenti difficoltà di programmare il contenimento delle spese di personale. Il ritorno a tempo pieno nei primi due anni dalla trasformazione è possibile se il posto è mantenuto a tempo pieno in dotazione organica, mentre trascorsi due anni può avvenire anche in soprannumero.

Speciale nuovo contratto/5 – Nel piano della formazione anche i finanziamenti esterni
di Alberto Barbiero

Gli enti locali programmano la formazione delle risorse umane attraverso un piano, che individua anche le risorse finanziarie da destinare a tali attività, comprensive anche di finanziamenti esterni. Il nuovo contratto per le funzioni locali valorizza i percorsi di rafforzamento delle competenze del personale delle amministrazioni, anche in una prospettiva di miglioramento dell’operatività dei servizi, delineando un percorso finalizzato a garantire programmazione delle iniziative, risposta ai bisogni formativi e utilizzo anche di metodologie innovative.

Il piano della formazione
L’articolo 49-ter del contratto individua come strumento-chiave il piano della formazione, nell’ambito del quale sono indicate le attività e le risorse finanziarie, comprese quelle attivabili attraverso canali di finanziamento esterni, comunitari, nazionali o regionali.
Nell’ambito dei piani di formazione le amministrazioni possono individuare attività che si concludono con l’accertamento dell’avvenuto accrescimento della professionalità del singolo dipendente, attestato attraverso certificazione finale delle competenze acquisite, da parte dei soggetti che l’hanno attuata, in collegamento con le progressioni economiche.

Metodologie e competenze
Le previsioni del contratto in tal senso sono particolarmente innovative, perché pongono le basi per costruire la mappa delle competenze dei dipendenti (rapportabile ai percorsi di carriera), attraverso la la raccolta di informazioni sulla partecipazione alle iniziative formative attivate e concluse con accertamento finale delle competenze acquisite.
I piani possono definire anche metodologie innovative come la formazione a distanza, quella sul posto di lavoro, quella mista (sia in aula che sul posto di lavoro), ma anche come le comunità di apprendimento e le comunità di pratica. Il ccnl evidenzia quindi prospettive di sviluppo delle attività formative sempre più pratiche e operative, volte a favorire il confronto tra i dipendenti e la condivisione dei risultati di gruppi di lavoro.
Nell’ambito dei piani di formazione, possono essere individuate anche iniziative formative destinate al personale iscritto ad albi professionali, in relazione agli obblighi formativi previsti per l’esercizio della professione (il conseguimento di un certo numero di crediti ogni anno). Le previsioni del contratto sostengono anche la formazione integrata tra enti, realizzabile attraverso iniziative comuni, in una logica di utilizzo ottimale delle risorse e di sviluppo di sinergie.

Finanziamento delle attività
Proprio in relazione alle risorse il contratto collettivo conferma che al finanziamento delle attività di formazione si provvede utilizzando una quota annua non inferiore all’1% del monte salari relativo al personale, dovendo rispettare comunque i vincoli previsti dalle vigenti disposizioni di legge in materia. In questo quadro entra in gioco il limite delineato dall’articolo 6, comma 13 della legge 122/2010, pur con la possibilità per gli enti di distribuire diversamente le risorse entro il limite complessivo di risparmio e di eventualmente disapplicarlo rispettando le condizioni dettate dall’articolo 21-bis della legge 96/2017.
Le amministrazioni possono tuttavia fare ricorso a ulteriori canali esterni di finanziamento, rispetto ai quali vari pareri della Corte dei conti hanno evidenziato la non sottoposizione ai limiti dell’articolo 6 della legge 122/2010.
Il contratto conferma la tradizionale impostazione in base alla quale il personale che partecipa alle attività di formazione organizzate dall’amministrazione è considerato in servizio a tutti gli effetti (anche in quanto le attività sono tenute, di norma, durante l’orario ordinario di lavoro) ed i relativi oneri sono a carico della stessa amministrazione.
Il nuovo contratto prevede anche che qualora le attività si svolgano fuori dalla sede di servizio (ad esempio, qualora l’ente abbia acquisito servizi formativi presso un operatore economico specializzato) al personale spetta il rimborso delle spese di viaggio, ove ne sussistano i presupposti.

 

 

Utilizzo a maglie strette per l’avanzo di amministrazione presunto

Utilizzo a maglie strette per l’avanzo di amministrazione presunto

di Anna Guiducci e Patrizia Ruffini

Sono rigide le regole per utilizzare gli accantonamenti per il rinnovo del contratto di lavoro disponibili nel risultato di amministrazione presunto. Il risultato rappresenta, dopo la riforma contabile, la sintesi finale della corretta applicazione dei principi di competenza finanziaria potenziata applicati durante la fase della gestione. Solo le obbligazioni giuridicamente perfezionate generano infatti accertamenti ed impegni, e quindi residui attivi e passivi o accantonamenti al fondo pluriennale vincolato. In assenza del necessario presupposto giuridico, le somme stanziate e non impegnate confluiscono invece nel risultato di amministrazione, rigidamente distinto nelle diverse componenti: fondi liberi, fondi vincolati, fondi destinati agli investimenti e fondi accantonati. L’esigenza gestionale connessa all’utilizzo di queste risorse deve fare i conti con regole dettagliate e differenziate a seconda della tipologia di avanzo da applicare.

In attesa dei rendiconti  Uno dei dubbi più ricorrenti fra i responsabili finanziari riguarda in questi giorni le possibilità di utilizzo delle quote presunte dell’avanzo di amministrazione, in attesa della definitiva approvazione del rendiconto della gestione 2017. Le modalità di impiego sono dettate dall’articolo 187 del Tuel e si differenziano a seconda della natura delle varie componenti nelle quali è possibile scomporre tale risultato. Costituiscono quota vincolata del risultato di amministrazione le entrate accertate e le corrispondenti economie di bilancio derivanti da disposizioni di legge o dai principi contabili, da mutui e prestiti contratti per il finanziamento di investimenti, da trasferimenti erogati a favore dell’ente per una specifica destinazione. Nei casi in cui la legge dispone un vincolo di destinazione su particolari tipologie di risorse erogate a favore dell’ente, si è in presenza di vincoli derivanti da trasferimenti e non da fonti normative. I fondi Ue devono essere considerati trasferimenti vincolati anche per la parte di risorse derivante dal cofinanziamento nazionale. È altresì possibile assegnare formalmente un vincolo di destinazione ad entrate straordinarie accertate e riscosse, non aventi natura ricorrente, a condizione che l’ente non abbia rinviato la copertura del disavanzo di amministrazione agli esercizi successivi e abbia provveduto nel corso dell’esercizio alla copertura di tutti gli eventuali debiti fuori bilancio ai sensi dell’articolo 193 del Tuel. L’organo competente ad attribuire uno specifico vincolo di destinazione alle entrate libere o destinate è il Consiglio, attraverso un’esplicita e specifica deliberazione (deliberazione n. 3/2016 della sezione autonomie della Corte dei conti).  Tra i fondi accantonati troviamo invece gli stanziamenti prudenziali per passività potenziali, gli accantonamenti per perdite di società partecipate, per il rinnovo del contratto di lavoro, l’accantonamento al fondo crediti dubbia esigibilità e il Fal (fondo anticipazione liquidità). I fondi destinati agli investimenti sono costituiti da economie di entrate in c/capitale senza vincolo di specifica destinazione e sono utilizzabili solo a seguito dell’approvazione del rendiconto.

Quote vincolate e già accantonate nel rendiconto 2016  Nelle more dell’approvazione del consuntivo (e quindi del risultato di amministrazione), le possibilità di impiego dell’avanzo presunto sono ridotte: solo le quote vincolate e quelle già accantonate nel rendiconto 2016 possono infatti essere utilizzate, mentre non può essere applicato l’avanzo destinato, né quello libero.  Le quote del risultato presunto derivanti dall’esercizio precedente, costituite da accantonamenti risultanti dall’ultimo consuntivo approvato o derivanti da fondi vincolati, possono essere utilizzate per le finalità cui sono destinate prima dell’approvazione del conto consuntivo dell’esercizio precedente, attraverso l’iscrizione delle risorse, come posta a sè stante dell’entrata, nel primo esercizio del bilancio di previsione o con provvedimento di variazione al bilancio.  L’utilizzo della quota vincolata o accantonata del risultato di amministrazione è consentito, sulla base di una relazione documentata del dirigente competente, anche in caso di esercizio provvisorio, esclusivamente per garantire la prosecuzione o l’avvio di attività soggette a termini o scadenza, la cui mancata attuazione determinerebbe danno per l’ente. Durante l’esercizio provvisorio la competenza ad adottare l’atto di variazione è della giunta, previo parere dell’organo di revisione contabile.  Se nel corso dell’esercizio provvisorio, il prospetto aggiornato del risultato di amministrazione presunto evidenzia un disavanzo di amministrazione, l’ente è invece tenuto a osservare le regole della gestione provvisoria e deve procedere all’immediata approvazione del bilancio di previsione, iscrivendo tra le spese il disavanzo.  L’ente che ha già approvato il bilancio di previsione potrà utilizzare le quote accantonate con atto di consiglio. Spettano invece al responsabile del servizio finanziario le variazioni di bilancio riguardanti l’utilizzo della quota vincolata del risultato di amministrazione derivanti da stanziamenti di bilancio dell’esercizio precedente corrispondenti a entrate vincolate, in termini di competenza e di cassa (articolo 175 del Tuel). Il ricorso all’anticipazione di tesoreria o all’utilizzo di entrate a specifica destinazione impediscono però l’applicazione delle quote non vincolate. Non è più necessario allegare il prospetto del pareggio, dopo la soppressione dell’obbligo operata dalla legge di bilancio 2018. La variazione è infine da trasmettere al tesoriere utilizzando il modello 8/3 o 8/1 a seconda che l’ente si trovi in esercizio provvisorio o con il bilancio approvato.

Oneri urbanistici svincolati

Oneri urbanistici svincolati

 di Matteo Barbero 

Gli oneri di urbanizzazione non sono cassa vincolata, poiché per tali entrate non è previsto un vincolo specifico, ma una generica destinazione ad una categoria di spese. È questa la posizione della Commissione Arconet sulla contabilizzazione dei proventi dei titoli abilitativi edilizi (e delle relative sanzioni), alla luce della nuova disciplina entrata in vigore lo scorso 1° gennaio. Dal 2018, infatti, la materia è regolamentata dal comma 460 della l 232/2016, che circoscrive le spese finanziabili con gli oneri alla realizzazione e manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria e altre fattispecie meno frequenti (fra cui nuovamente la progettazione). È quindi venuta meno la possibilità di destinare tali entrate a spese diverse da quelle elencate espressamente dal legislatore. Il problema è stabilire se ciò comporti anche l’obbligo di considerarle vincolate anche in termini di cassa. In caso di risposta affermativa, gli enti dovrebbero applicare il combinato disposto degli artt. 195 e 222 del Tuel, che limitano la possibilità di attingere alla cassa vincolata per finalità di spesa diverse da quelle stabilite. In tali casi, inoltre, scatterebbe l’obbligo di contabilizzare nelle scritture finanziarie i movimenti di utilizzo e di reintegro. Si tratterebbe di un notevole appesantimento procedurale, per cui è da accogliere con favore la decisione di Arconet di sposare la scuola di pensiero alternativa (anticipata da ItaliaOggi del 30/1/2018), secondo cui sarebbe errato considerare gli oneri entrate vincolate, dato che il legislatore ha stabilito solo una loro generica destinazione (anche se più restrittiva del passato). In tal senso, soccorre anche la deliberazione n. 31/2015 della Corte dei conti, sezione delle autonomie che ha chiarito che il regime vincolistico della gestione di cassa è caratterizzato dall’eccezionalità delle ipotesi, che devono essere circoscritte a quelle indicate agli artt. 180, comma 3, lett. d) e dall’art. 185, comma 2, lett. i). Per i giudici contabili, cassa vincolata è solo quella che deriva da entrate con destinazione specifica.

Comuni, pareggio più «facile» fino al 2020 – Ecco le istruzioni della Ragioneria

Comuni, pareggio più «facile» fino al 2020 – Ecco le istruzioni della Ragioneria

di Gianni Trovati

 

I calcoli sul pareggio di bilancio degli enti locali allargano i vincoli per tutto il triennio, e permettono di considerare anche il fondo pluriennale vincolato del 2020 escludendo solo la parte finanziata da debito e le quote dei mutui confluite nell’avanzo. Le Regioni che non avviano i patti territoriali per liberare gli investimenti degli enti locali si vedono bloccare spesa corrente e assunzioni, ma lo Stato non può sostituirsi ai ritardatari.  Nella circolare annuale con le istruzioni sui vincoli di finanza pubblica degli enti locali (circolare n. 5/2018, con allegati12 e 3), la Ragioneria generale risponde così alle due sentenze costituzionali (la 247 e la 252 del 2017) che nei mesi scorsi hanno colpito le norme sul pareggio.

Avanzi  La sentenza 247 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 30 novembre 2017) aveva “promosso” le regole del pareggio, a patto di interpretarle in modo da non vincolare a priori gli «avanzi» (cioè i risparmi accumulati nell’esercizio finanziario) delle Regioni. Per gli enti locali, spiega la Ragioneria, il principio è rispettato grazie a una dose di flessibilità: per tutto il triennio oggetto dei preventivi da approvare entro fine marzo, nelle entrate che contano per il pareggio entreranno le somme del fondo pluriennale vincolato (al netto del debito) anche per le parti non esigibili nell’anno. Anche nel 2020 (diversamente da come ritenuto finora) sarà possibile conteggiare anche il fondo pluriennale vincolato derivante da avanzo purché non finanziato da economie di mutui e prestiti. In sostanza le regole per il rispetto del pareggio di bilancio dal 2020 non cambiamo più rispetto agli esercizi precedenti. Sempre in fatto di flessibilità, è da sottolineare che il pareggio va rispettato a preventivo e rendiconto, ma non più nelle variazioni di bilancio, che non devono più essere accompagnate dal prospetto.

Patti regionali  La sentenza 252/2017 (si veda il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 7 dicembre 2017) ha invece azzoppato il Dpcm che regola i patti regionali, con cui gli enti si scambiano gli «spazi finanziari» per gli investimenti sotto la regia regionale. Il sistema, spiega la circolare, continua a funzionare, e a colpire con i blocchi di spesa e assunzioni le Regioni che non lo attivano. A scomparire è il potere sostitutivo dello Stato sulla Regione in ritardo.

La querelle sulla natura giuridica della spesa per gli incentivi deferita alle Sezioni riunite

La querelle sulla natura giuridica della spesa per gli incentivi deferita alle Sezioni riunite

  1. Usai (La Gazzetta degli Enti Locali 20/2/2018)

Non sembra trovare ancora una pacifica soluzione la tematica relativa alla corretta identificazione della natura giuridica della spesa per gli incentivi per lo svolgimento funzioni tecniche e l’esclusione dal “tetto” del trattamento accessorio nonostante i recenti pareri della sezione di controllo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, deliberazione n. 6/2018/PAR e della sezione Umbria, con deliberazione n. 14/2018/PAR. L’esigenza di un definitivo chiarimento viene sollevata dalla sezione regionale della Puglia con la recente deliberazione 9/2018con deferimento della problematica alle Sezioni riunite in sede di controllo.

I termini della vicenda

La vicenda, come noto, si è sviluppata intorno al dettato dell’articolo 113 del codice dei contratti – ante modifica apportata con il la Legge di Bilancio per il 2018 – ed all’acclarata non perfetta sovrapponibilità rispetto alle norme del pregresso codice in tema di incentivi di progettazione. Il Sindaco di un Comune pugliese, prendendo atto dalla modifica apportata all’articolo 113 del codice dall’art. 1, comma 526, della l. n. 205/2017, ed al fine di pervenire alla corretta interpretazione della disposizione chiede definitivi chiarimenti sulla possibilità di non ritenere gli incentivi più “inclusi tra le risorse destinate al trattamento accessorio” con conseguente esclusione “dalla voce di spesa del personale per essere allocati al titolo II nell’ambito delle spese di investimento”. A questo orientamento sono approdate già le recenti deliberazioni della sezione del Veneto e della regione Umbria (rispettivamente con la deliberazione n. 6 e 14/2018).  Con i pareri richiamati si è infine sostenuto che gli incentivi per funzioni tecniche (a far data dal 1° gennaio 2018) “non rientrerebbero nei capitoli della spesa del personale, ma dovrebbero essere ricompresi nel costo complessivo dell’opera” e che con la modifica apportata con la legge di bilancio (secondo la sezione della regione Umbria) “il legislatore ha voluto, pertanto, chiarire come gli incentivi non confluiscono nel capitolo di spesa relativo al trattamento accessorio (sottostando ai limiti di spesa previsti dalla normativa vigente) ma fanno capo al capitolo di spesa dell’appalto ed ha concluso per l’esclusione degli incentivi tecnici dal computo rilevante ai fini dall’articolo 23, comma 2, del D. Lgs n. 75/2017 rilevando che l’art. 113, ai commi 1 e 2, già dispone che tutte le spese afferenti gli appalti di lavori, servizi o forniture devono trovare imputazione sugli stanziamenti previsti per i predetti appalti”.

Il deferimento alle Sezioni riunite

La sezione pugliese, come si legge nella deliberazione, non appare totalmente persuasa delle riflessioni espresse, ritenendo anche che ogni volta che il legislatore abbia voluto sancire delle esclusioni da precisi vincoli/limiti di spesa ha provveduto a specificarlo espressamente. Secondo quanto si legge nel parere occorre comunque “considerare che l’appostazione contabile degli incentivi di natura tecnica nell’ambito del “medesimo capitolo di spesa” previsto per i singoli lavori, servizi o forniture” non è in grado di mutare “la natura di spesa corrente trattandosi, in ogni caso, di emolumenti di tipo accessorio spettanti al personale e conseguentemente la contabilizzazione prescritta ora dal legislatore apparentemente diretta a qualificare tale spesa nell’ambito della spesa per investimenti non sembra poter consentire di desumere sic et simpliciter l’esclusione di tali risorse dalla spesa del personale e dalla spesa per il trattamento accessorio”.  Ed è proprio su questo aspetto che si rendere necessario “un ulteriore intervento nomofilattico considerato, peraltro, che l’allocazione contabile di una posta nell’ambito della spesa per investimenti piuttosto che nella spesa corrente produce anche inevitabili riflessi sugli equilibri di bilancio degli enti”. Oltre alla mancanza di un chiaro riferimento normativo (“un’espressa volutas legis”) che preveda l’esclusione degli incentivi per funzioni tecniche sia dai vincoli previsti dal legislatore per la spesa del personale che per la spesa per il trattamento accessorio, la sezione rileva che “qualora dall’allocazione in bilancio al medesimo capitolo di spesa previsto per i lavori, servizi o forniture si desumesse l’inserimento di tali risorse nell’ambito della spesa di investimento potrebbe ravvisarsi un contrasto con la disciplina di cui all’art. 3, comma 18, della L. 24/12/2003 n. 350 che stabilisce, ai fini di cui all’art. 119, sesto comma, della Costituzione” che contiene una definizione di ciò che costituisce investimento non ricomprendendo, evidentemente, le spese in questione. In particolare, ai sensi della normativa citata costituiscono spese di investimento:  a) l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali;  b) la costruzione, la demolizione, la ristrutturazione, il recupero e la manutenzione straordinaria di opere e impianti;  c) l’acquisto di impianti, macchinari, attrezzature tecnico-scientifiche, mezzi di trasporto e altri beni mobili ad utilizzo pluriennale;  d) gli oneri per beni immateriali ad utilizzo pluriennale;  e) l’acquisizione di aree, espropri e servitù onerose;  f) le partecipazioni azionarie e i conferimenti di capitale, nei limiti della facoltà di partecipazione concessa ai singoli enti mutuatari dai rispettivi ordinamenti;  g) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie destinati specificamente alla realizzazione degli investimenti a cura di un altro ente od organismo appartenente al settore delle pubbliche amministrazioni;  h) i contributi agli investimenti e i trasferimenti in conto capitale a seguito di escussione delle garanzie in favore di soggetti concessionari di lavori pubblici o di proprietari o gestori di impianti, di reti o di dotazioni funzionali all’erogazione di servizi pubblici o di soggetti che erogano servizi pubblici, le cui concessioni o contratti di servizio prevedono la retrocessione degli investimenti agli enti committenti alla loro scadenza, anche anticipata.  i) gli interventi contenuti in programmi generali relativi a piani urbanistici attuativi, esecutivi, dichiarati di preminente interesse regionale aventi finalità pubblica volti al recupero e alla valorizzazione del territorio. Alla luce di quanto, la sezione sottopone al Presidente della Corte dei conti la valutazione dell’opportunità di deferire alle Sezioni riunite in sede di controllo o alla Sezione delle Autonomie la questione di massima al fine di assicurare il “superamento di contrasti da parte delle Sezioni regionali di controllo ed un’interpretazione uniforme della disposizione recentemente introdotta dalla legge di stabilità 2018 che si inserisce in un contesto normativo per il quale risultano già intervenute la deliberazione delle Sezioni riunite in sede di controllo n. 51/2011 e da ultimo, le deliberazioni delle Sezioni delle Autonomie” n. 18/2016, 7 e 24/2017.

 

 

Sul turn over la semplificazione è ancora lontana

Sul turn over la semplificazione è ancora lontana

di Luca Tamassia

Ad una semplice domanda che qualsiasi operatore della gestione del personale, ad un certo punto dell’attività assolta, deve necessariamente porsi, ovvero se l’amministrazione ha facoltà di assunzione e in quale ambito limitativo l’ente possa muoversi, la risposta che il vigente sistema normativo offre passa attraverso un’impervia ricostruzione delle facoltà assunzionali che ciascuna amministrazione è tenuta a ripercorrere, transitando attraverso un non sempre agevole percorso di focalizzazione del quadro legislativo applicabile.

Un assetto in “movimento”  Il groviglio dispositivo si è nel tempo generato in quanto, da un assetto di progressiva liberalizzazione delle assunzioni dettata dal Dl n. 90/2014, ancorché nei limiti del turn over originatosi l’anno precedente, si è passati ad una continua legislazione d’urgenza che, al fine del conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha successivamente ridotto gli spazi assunzionali, venendo, quanto meno negli ultimi anni, a complicare notevolmente l’assetto delle possibilità di acquisizione di risorse umane da parte delle amministrazioni locali. Occorre premettere che, salvo diverse prescrizioni che possano intervenire nel tempo, dal prossimo 2019 opera, a regime, si potrebbe dire finalmente, l’impianto che il legislatore aveva, sin dal 2014, congegnato quale assetto definitivo di regolazione delle possibilità assuntive da parte degli enti locali già sottoposti al patto di stabilità interno, attraverso la previsione, puntualmente recata dall’articolo 3, comma 5, del Dl n. 90/2014, di ammettere assunzioni di personale a tempo indeterminato, anche di qualifica dirigenziale, nei limiti di utilizzo del 100% della spesa complessivamente corrispondente a quella derivante dalla cessazione di personale di ruolo occorsa nell’anno precedente, con facoltà di recuperare i residui di spesa ammessa relativi ad assunzioni non effettuate nel triennio precedente all’anno considerato ai fini delle cessazioni. Bene, questo meccanismo di conseguimento progressivo del risultato d’integrale sostituzione di spesa nei limiti dell’anno precedente – obiettivo gradualmente somministrato mediante quote percentuali di valore incrementale introdotte a decorrere dal 2014 e che sarebbe dovuto andare a regime nel 2018 – è stato sovvertito da molteplici interventi normativi che, nel corso dell’ultimo triennio, hanno prodotto una confusa serie di prescrizioni che ne hanno mutato completamente la fisionomia, riducendone significativamente la portata prima, per poi integrare il perimetro normativo di riferimento con successivi incrementi delle facoltà assunzionali graduandone l’ammissibilità in relazione alla presenza di fattori razionalizzanti.

Il quadro delle norme  Il prodotto di tali interventi, quindi, può essere riassunto in un incalzante succedersi di disposizioni legislative che, spesso rinvenibili in provvedimenti d’urgenza, ha completamente trasfigurato il quadro dispositivo di riferimento, sostituendo, all’impianto di base costituito dal citato Dl n. 90/2014, un regime transitorio che s’impernia sull’articolo 1, comma 228, della legge n. 208/2015, il cui meccanismo, infatti, fatti salvi interventi successivi sempre in agguato, cede il passo al predetto impianto di base a far tempo dal 2019, atteso che a conclusione del corrente esercizio 2018 si estingueranno gli effetti transitori determinati da tale disposizione legislativa. Lo scenario prescrittivo che, nel tempo, si è prodotto, pertanto, attraverso una ricognizione estesa all’ultimo triennio, può così rappresentarsi, secondo una scansione temporale che rende significativa la progressione di norme che si sono succedute in materia:  1)  articolo 1, comma 228, della legge n. 208/2015 (legge di stabilità per il 2016): per gli anni 2016, 2017 e 2018 gli enti soggetti al patto di stabilità interno possono assumere personale a tempo indeterminato di qualifica non dirigenziale nei limiti di spesa corrispondente al 25% di quella relativa alle cessazioni intervenute nell’anno precedente. Per il personale con qualifica dirigenziale, pertanto, in assenza di disposizioni derogatorie, restano operanti le limitazioni di cui al citato articolo 3, comma 5, del Dl 90, ovvero, per il biennio 2016 e 2017, l’80% della spesa relativa alle cessazioni di personale dirigenziale occorse nell’anno precedente e del 100% della spesa stessa a decorrere dal corrente esercizio 2018. Il comma 229 del medesimo articolo 1, poi, regola le facoltà assunzionali dei comuni istituiti a seguito di fusione intervenuta dal 2011 e delle unioni di comuni, che guadagnano la possibilità di sostituzione in regime di turn over pieno rispetto alla spesa delle cessazioni di personale di ruolo intervenuta nell’anno precedente (100% della spesa conseguente a tali cessazioni);  2)  articolo 16 del Dl n. 113/2016: restano ferme le facoltà assunzionali per le amministrazioni locali non soggette al patto di stabilità interno nel corso del 2015 ai sensi dell’articolo 1, comma 562, della legge n. 296/2006, pertanto tali enti possono proseguire all’assunzione di personale nel limite delle cessazioni di rapporti di lavoro a tempo indeterminato complessivamente intervenute nel precedente anno, quindi con riferimento ad un regime di sostituzione integrale delle cessazioni intervenute nell’anno precedente non fondato sulla spesa originata dalle stesse, bensì determinato dalle unità cessate. La norma, poi, mediante l’integrazione del comma 1-bis introduce un incremento della facoltà assunzionale al 75% della spesa delle cessazioni intervenute nell’anno precedente a favore delle amministrazioni comunali con popolazione inferiore ai 10mila abitanti che presentino un rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica, come definito triennalmente con il decreto del ministro dell’Interno di cui all’articolo 263, comma 2, del testo unico di cui al Dlgs n. 267/2000 (oggi Dm 10 aprile 2017 per il triennio 2017-2019);  3)  articolo 1, comma 479, lett. d), della legge n. 232/2016 (legge di bilancio per il 2017): la prescrizione normativa introduce un regime di premialità assunzionale che può essere applicato solo a decorrere dall’anno 2018, a favore dei soli comuni che abbiano rispettato il saldo finanziario previsto dal comma 466 della legge stessa, lasciando spazi finanziari inutilizzati inferiori all’1% degli accertamenti delle entrate finali dell’esercizio nel quale è rispettato il medesimo saldo. Per tali enti, infatti, nell’anno successivo la percentuale assunzionale del 25% stabilita dalla legge a regime è rideterminata nel 75%, sempreché, tuttavia, il rapporto dipendenti-popolazione dell’anno precedente sia inferiore al rapporto medio dipendenti-popolazione per classe demografica di cui sopra. Questa ultima condizione, a ben vedere, sovrapponendosi a quella prevista ai sensi del sopra richiamato articolo 16, rende poco appetibile l’obiettivo di virtuosità finanziaria definito dalla norma;  4)  articolo 22, commi 2 e 3, del Dl n. 50/2017: il comma 2 del provvedimento d’urgenza amplia le facoltà assunzionali premiali già previste dall’articolo 16 del Dl 113, estendendole indistintamente ai comuni superiori ai 10mila abitanti, e non più, invece, ai soli comuni inferiori ai 10mila abitanti, limitando, tuttavia, la portata della disposizione ai soli anni 2017 e 2018, mentre il comma 3 dell’articolo 22 estende la percentuale assunzionale vista al punto precedente al 90% della spesa relativa alle cessazioni dell’anno precedente, quale reazione dell’ordinamento, evidentemente, alla scarsa appetibilità del regime premiale dettato dalla norma in presenza delle condizioni di virtuosità che, già da sole, sono in grado di consentire l’elevazione della capacità assunzionale al 75% della spesa relativa alle cessazioni di personale avvenute nell’anno precedente. In sede di conversione, poi, la norma si arricchisce di un’ulteriore previsione che, in ragione della specifica formulazione, appare quale prescrizione a regime e non di carattere transitorio. Tale disposizione, infatti, statuisce che per i comuni con popolazione compresa tra mille e 3mila abitanti che rilevano, nell’anno precedente, una spesa per il personale inferiore al 24% della media delle entrate correnti registrate nei conti consuntivi dell’ultimo triennio, la percentuale relativa alle facoltà assunzionali è innalzata al 100% della spesa relativa alle cessazioni occorse nell’anno precedente;  5) articolo 1, comma 863, della legge n. 205/2017 (legge di bilancio 2018): la norma amplia la platea dei comuni che possono beneficiare della clausola premiale da ultimo  indicata al punto precedente, sostituendo il limite di popolazione dei 3mila abitanti con quello, più esteso, di 5mila abitanti, estendendo, in tal modo, il numero delle amministrazioni destinatarie del beneficio premiale;  6)  restano impregiudicate, nell’ambito di questo quadro disciplinatorio di riferimento, le norme speciali che regolano facoltà assunzionali esercitabili in relazione a specifiche categorie di lavoratori, con particolare riferimento alle disposizioni recate dall’articolo 7, comma 2-bis, del Dl n. 14/2017, il quale prescrive che, peril rafforzamento delle  attività connesse al controllo del territorio e al fine di dare massima efficacia alle disposizioni in materia di sicurezza urbana contenute nel provvedimento stesso, negli  anni 2017 e 2018 i comuni che, nell’anno precedente, abbiano rispettato gli obiettivi del pareggio di bilancio possono assumere, a tempo indeterminato, personale di polizia locale nel limite di spesa individuato applicando le percentuali stabilite dall’articolo 3, comma 5, del Dl n. 90/2014, ovvero, nel corso del 2018, pari al 100% della spesa relativa al personale  della  medesima  tipologia cessato nell’anno precedente, fermo restando il rispetto del limite di spesa di personale. Tali cessazioni, ovviamente, operando per specifiche professionalità in senso ampliativo, non possono rilevare anche ai fini del calcolo delle facoltà assunzionali relative al restante personale.

Osservazioni conclusive  Come si vede dalla ricostruzione temporale sopra rappresentata, dunque, siamo ancora lontani da una reale semplificazione delle norme che regolano le assunzioni nelle amministrazioni locali, situazione che genera non solo costi elevati, in termini di tempo dedicato alla ricognizione del quadro normativo e alla sua comprensione, bensì origina incertezze applicative e complessità gestionali nell’azione di computo e nella sua pratica traduzione. L’ennesima complicazione in danno degli operatori del personale, anche nell’ambito di un assetto normativo che, per rilevanza e celerità, non dovrebbe presentare incertezza alcuna.

Oneri di urbanizzazione fuori dalla cassa vincolata

Oneri di urbanizzazione fuori dalla cassa vincolata
di Gianni Trovati

Gli oneri di urbanizzazione non rientrano fra le entrate vincolate, nonostante i tentativi normativi di re-indirizzarne l’utilizzo verso la manutenzione delle strade e del patrimonio edilizio. L’indicazione arriva dalla commissione Arconet, che nell’ultima Faq sull’armonizzazione ha etichettano le indicazioni di legge come una «generica destinazione ad una categoria di spese», che di conseguenza non rappresentano «un vincolo di destinazione specifico».

Utilizzi possibili
In questo modo, la commissione ha sciolto i dubbi dell’ultima norma sul tema, scritta nella manovra per il 2017 (comma 460 della legge 232/2016) ma in vigore solo dal 1° gennaio scorso. Per chiudere la lunga epoca degli utilizzi “liberi” degli oneri di urbanizzazione, permessi dalle proroghe continue che li hanno trasformati in un entrata generica per far quadrare i conti locali, la regola ha chiesto di impiegare i proventi da titoli edilizi e le sanzioni per un elenco preciso di destinazioni: manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di urbanizzazione, al risanamento di centri storici e periferie, lotta all’abusivismo, aree verdi pubbliche e interventi di riqualificazione contro il rischio sismico e idrogeologico. Un elenco ampio, in cui rientrano anche le «spese di progettazione per opere pubbliche», ma «esclusivo», come precisa la stessa norma.

Le istruzioni
Tanta precisione, interviene però ora Arconet, non basta a configurare «un vincolo di destinazione specifico», e di conseguenza non impone di adeguare la cassa vincolata per conteggiare anche il versamento degli oneri ante-2018. Un’indicazione di questo tipo era ipotizzabile in base alla configurazione della norma (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 2 febbraio), ma solo le istruzioni ufficiali di Arconet hanno potuto chiudere un’incognita che rischiava di complicare ulteriormente la gestione della tesoreria.

 

Un lato oscuro del codice: la questione dell’impegno di spesa

 

Un lato oscuro del codice: la questione dell’impegno di spesa

  1. Usai (La Gazzetta degli Enti Locali 16/2/2018)

Risulta interessante, a sommesso avviso anche e soprattutto da un punto di vista pratico, la questione relativa alla prenotazione ed all’impegno di spesa – alla luce della contabilità armonizzata – nelle procedure d’appalto. Compresi gli affidamenti diretti. Annotando le puntuali considerazioni espresse in uno degli ultimi contributi pubblicati dal quotidiano (1).

La prenotazione

La prenotazione dell’impegno risulta necessariamente – in ogni procedimento che comporta una spesa – una fase non superabile se non, adeguandosi a quanto ora previsto nel codice nell’articolo 32, comma 1, ultimo periodo, in casi di procedure che potrebbero essere concluse con un unico provvedimento.

Ciò può, potrebbe, accadere nel caso dell’affidamento diretto (almeno secondo il legislatore del codice). In una situazione pertanto, pur in non perfetta adesione con le regole contabili, presidiata in modo sicuro dal RUP e dal dirigente/responsabile del servizio (a cui è rimessa la firma sulla determinazione).

La semplificazione richiesta e pensata dal legislatore non può che consistere nell’accorpamento degli atti dove il procedimento di escussione del mercato o più banalmente la fase di scelta dell’affidatario – nell’ambito dei 40 mila euro e con affidamento diretto – non viene preceduto da un atto amministrativo con una qualche rilevanza contabile.

La determina a contrattare viene in sostanza superata dall’atto che suggella l’affidamento e che implica l’assunzione dell’impegno di spesa.

L’importanza della prenotazione, del resto, viene anche sottolineata dal principio contabile 4/2 (concernente la contabilità finanziaria) in cui si legge della “rilevanza della “prenotazione della spesa” riguardante le spese delle gare formalmente indette e del quadro economico dell’opera, uniche fattispecie di costituzione del fondo pluriennale vincolato in assenza di impegni imputatinelle scritture contabili degli esercizi successivi”. È anche dal principio contabile – oltre che dalle norme – che è possibile far emergere una indicazione anche in tema di impegni di spesa.

L’impegno di spesa

I rapporti tra appalto e impegno di spesa risultano maggiormente articolati soprattutto con la nuova impostazione introdotta con la contabilità armonizzata in cui – a differenza della contabilità finanziaria – l’impegno viene registrato nel momento del perfezionamento dell’obbligazione giuridica e l’imputazione avviene nell’esercizio finanziario di esigibilità del “credito”.

Riguardo all’appalto, si rilevava, la situazione risulta articolata poichè si tratta di evidenziare in quale momento debba essere assunto l’impegno.

Nel ragionamento del legislatore della contabilità armonizzata, se questo coincide con il sorgere dell’obbligazione giuridica, nell’appalto evidentemente coinciderà con il momento della stipula del contratto.

Circostanza, però, che “differisce” nel tempo i termini dell’impegno in modo tale da renderli inaccettabili o comunque in grado di determinare danno alla stessa azione amministrativa (vale, come si vedrà, proprio il ragionamento dei lavori pubblici e del collegamento con il fondo pluriennale vincolato).

 L’accettazione dell’offerta

Fatta questa premessa è importante annotare il rapporto tra codice e contabilità. Il nuovo codice, al netto della c.d. aggiudicazione provvisoria ora superata dalla proposta di aggiudicazione – eredita sostanzialmente il pregresso articolato meccanismo di controllo sugli atti che porta all’assegnazione dell’appalto, dapprima non efficace, poi aggiudicazione efficace (vera e propria) solo previa verifica dei requisiti. Il nuovo codice, addirittura, eredita il meccanismo ad intarsio che nel pregresso codice riguardava gli articoli 11 e 12 ora invece gli artt. 32 e 33.

Il nuovo codice, comma 6 dell’articolo 32, si “ostina” a ripetere che “l’aggiudicazione non equivale ad accettazione dell’offerta”.

Da notare – a parere di chi scrive, non elemento irrilevante – che la ripetizione dell’affermazione rimane collocata (ora) tra la proposta di aggiudicazione (comma 5 dell’articolo 32) che deve essere verificata dal RUP e il successivo comma 7 che ribadisce l’esistenza della fattispecie dell’aggiudicazione efficace (dopo la verifica positiva sui requisiti).

In sostanza, il riferimento all’accettazione – per avere una effettiva rilevanza anche da un punto di vista contabile – avrebbe dovuto essere innestata dopo il comma 7 e non a livello si potrebbe dire di proposta di aggiudicazione.  Sembra quindi, che la valenza/l’intensità della precisazione (secondo cui l’aggiudicazione non vale come accettazione) sia di tipo “procedurale” per ricordare all’appaltatore sia che la proposta di aggiudicazione non ha alcun effetto, sia per sottolineare che neanche l’aggiudicazione “definitiva” vincola la stazione appaltante che può “liberarsene”.

In questo senso, il primo periodo del comma 8 prevede che “divenuta efficace l’aggiudicazione, e fatto salvo l’esercizio dei poteri di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto di appalto o di concessione ha luogo entro i successivi sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario”.

I vincoli dell’aggiudicazione (definitiva)

A sommesso parere vi è un margine per affermare che, pur vera, l’affermazione del legislatore per cui l’aggiudicazione non equivale ad accettazione non rende però dell’intensità di una aspettativa che nell’appaltatore viene alimentata già dall’aggiudicazione non efficace.

Lo dimostra anche la recente giurisprudenza – in un orientamento consolidato – che statuisce la responsabilità (e risarcimento del “solo” danno emergente) della pubblica amministrazione anche se il ritiro in autotutela dell’aggiudicazione sia intervenuto per motivi oggettivi come la carenza di copertura finanziaria (Tar Campania, Napoli, sez. I, con la recente sentenza n. 139/2018).

Si è in presenza pertanto non di un vincolo giuridico – nel senso di obbligazione giuridica – ma di una situazione che legittima l’affidabilità sulla possibile stipula del contratto. E solo circostanze patologiche (la carenza di risorse o sopravvenuta valutazione sulla inadeguatezza dell’oggetto, peraltro con una motivazione rigorosissima) possono impedire la stipula.

La fase “anticipata” dell’impegno nell’appalto

Sembra a chi scrive che nell’appalto l’impegno di spesa non può attendere la stipula del contratto – che deve rispettare la tempistica del codice, si pensi allo stand still – a pena di decadenza (della prenotazione di impegno).

In questo senso, piuttosto esaustivo è il comma 3 dell’articolo 183 del decreto legislativo 267/2000 in cui chiarito che “durante la gestione possono anche essere prenotati impegni relativi a procedure in via di espletamento” prosegue con due annotazioni fondamentali ovvero che “i provvedimenti relativi per i quali entro il termine dell’esercizio non è stata assunta dall’ente l’obbligazione di spesa verso i terzi decadono e costituiscono economia della previsione di bilancio alla quale erano riferiti, concorrendo alla determinazione del risultato contabile di amministrazione (…)” .

Mentre, una eccezione non di poco conto, “le spese di investimento per lavori pubblici prenotate negli esercizi successivi, la cui gara è stata formalmente indetta, concorrono alla determinazione del fondo pluriennale vincolato e non del risultato di amministrazione” ma “in assenza di aggiudicazione definitiva della gara entro l’anno successivo le economie di bilancio confluiscono nell’avanzo di amministrazione vincolato per la riprogrammazione dell’intervento in c/capitale (…)”.

Per tacer d’altro – lo stesso principio contabile già citato ammette l’eccezione ed il giro a fondo pluriennale vincolato del quadro economico dell’investimento sulla base dell’indizione o dell’impegno di spesa di voci del quadro (che non siano le sole spese di progettazione) a pena di decadenza se non interviene l’aggiudicazione definitiva entro l’esercizio finanziario successivo – dalla norma appena riportata emerge che necessariamente l’impegno deve coincidere con l’aggiudicazione.

Il problema, caso mai, è quello di chiarire se l’impegno possa essere assunto già con l’approvazione della proposta di aggiudicazione o con l’aggiudicazione “definitiva” efficace una volta verificato positivamente il possesso dei requisiti.

In molte stazioni appaltanti la prima fase – l’approvazione della “sola” proposta di aggiudicazione – non viene effettuata con accorpamento e unificazione con una sorta di “presa d’atto” direttamente sull’aggiudicazione efficace. Che appare, oggettivamente, la soluzione tecnica migliore.

Pertanto, pur non in perfetta coincidenza con il ragionamento dell’obbligazione giuridica (che si genera sicuramente per effetto del contratto) nel caso degli appalti l’impegno deve essere “anticipato” al momento dell’aggiudicazione.

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NOTA di LUIGI OLIVERI

La conciliazione tra le disposizioni, chiarissime, del codice dei contratti e, soprattutto, del codice civile non può passare per interpretazioni “evolutive” di modifica dei significati delle norme.

Sebbene risulti evidente che l’amministrazione possa agire in autotutela solo se vi sono motivi legittimi tali da comprimere l’aspettativa legittima dell’aggiudicatario (si tratta di previsioni che provengono dalla legge 241/1990, prima ancora che dal codice dei contratti), ciò non significa che in ogni caso l’aggiudicazione non implichi e non possa implicare accettazione della proposta.

Questa non può che derivare dalla stipulazione del contratto. L’aggiudicazione è soltanto e solo la conclusione della procedura, di natura ancora amministrativa, finalizzata a stabilire chi possa essere il soggetto con cui, dopo e solo dopo, stipulare il contratto.

E solo dalla stipulazione del contratto si verifica il perfezionamento dell’obbligazione giuridica.

L’alternativa è parlare di perfezionamento dell’obbligazione contabile, concetto che si può considerare utile a comprendere cosa intenda il legislatore (estremamente malaccorto, generico, superficiale, nel dettare regole contabili tanto complesse quanto inefficaci) quando parla di “obbligazione di spesa” e non di obbligazione giuridica nell’articolo 183, comma 3, del d.lgs 267/2000.

Allora, il modo per conciliare le incoerenti previsioni di un legislatore che ha reso ridondante ed incontrollato in primis a se stesso l’ordinamento contabile è concludere:

  1. ai fini delle disposizioni dell’articolo 183, comma 3, occorre tenere conto del perfezionamento della fase amministrativa di individuazione del contraente;
  2. ma in ogni caso, la registrazione definitiva dell’impegno deriva dalla stipulazione del contratto;
  3. oppure, alternativa più corretta sul piano strettamente letterale delle norme, prendere atto che se non si perfeziona l’obbligazione giuridica, non si perfeziona nemmeno quella contabile e, dunque, sì, si determina economia di spesa e confluenza nel risultato di amministrazione.

L’ultimo è un effetto voluto da un legislatore, si ribadisce, piuttosto malaccorto. Che, nel malriuscito tentativo di scimmiottare una contabilità di cassa mediante la cosiddetta “competenza potenziata” ha creato problemi operativi enormi, che non possono essere risolti “sorvolando” sulle regole contrattuali pubblicistiche e privatistiche.

D’altra parte, se l’aggiudicazione coincidesse con l’accettazione dell’offerta, essa sarebbe stipulazione del contratto e, quindi, ogni altra indicazione sulla stipulazione, dalle modalità alle regole stand still risulterebbe superflua.

 

 

(1) Si allude in particolare all’autorevole annotazione di L. Oliveri.

L’attività di vigilanza dei revisori degli enti locali sugli organismi esterni

 L’attività di vigilanza dei revisori degli enti locali sugli organismi esterni

di Andrea Ziruolo (*) – Rubrica a cura di Ancrel

L’organo di revisione degli enti locali svolge una specifica funzione di vigilanza sulla regolarita contabile, finanziaria ed economica della gestione diretta e indiretta dell’ente, sui cui equilibri di bilancio possono riflettersi anche gli andamenti economico-finanziari degli organismi gestionali esterni che costituiscono il gruppo amministrazione pubblica.

I controlli  Ne consegue che nell’ottica del principio di sana gestione finanziaria, l’attività di vigilanza sugli organismi esterni deve essere condotta attraverso la verifica della regolarità e congruità dei contratti di servizio, delle concessioni e delle convenzioni, della corretta contabilizzazione degli eventuali rischi delle gestioni esterne, dei debiti e crediti reciproci, del mantenimento degli equilibri evitando l’elusione dei saldi di finanza pubblica. Inoltre, occorre controllare che la programmazione di bilancio sia in linea con il Dup (principio di coerenza), così come l’attuazione degli indirizzi durante la gestione e a fine esercizio attraverso il consuntivo, il rendiconto consolidato e il bilancio consolidato. Conseguentemente, l’organo di revisione deve vigilare sulla corretta formazione dei bilanci degli organismi esterni riscontrandone anche la completezza. Pertanto, verificherà il ricorso agli istituti di cui all’articolo 6 del Dlgs 175/2016, tra cui i programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale, o le ragioni della loro assenza all’interno della relazione sul governo societario da parte delle società partecipate.

Le eventuali perdite registrate dalle partecipate  I revisori degli enti controllanti devono sempre verificare che nel bilancio di previsione dell’ente locale sia stato costituito il fondo per le eventuali perdite registrate dalle partecipate (articolo 21 del Dlgs 175/2016), dalle aziende speciali e dalle istituzioni (legge 147/2013, articolo 1, commi 550-552), derogando in caso di messa in liquidazione o di procedura concorsuale. Laddove l’ente locale decidesse di ricapitalizzare o di ricostituire il capitale sociale della società partecipata, il revisore deve verificare che ciò avvenga in presenza delle condizioni di cui all’articolo 2447 o 2482-ter del codice civile. Invece, nel caso di finanziamento delle società da parte dell’ente che le partecipa, il revisore deve verificare che non si contravvenga al «divieto di soccorso finanziario» introdotto dall’articolo 6, comma 19, del Dl 78/2010 convertito con modificazioni dalla legge 122/2010. Infine, considerando che in caso di omissioni, mancata vigilanza e segnalazione, con dolo o colpa grave, i revisori possono essere chiamati a rispondere solidalmente del danno arrecato, è importante che osservino i principi di revisione aziendale laddove applicabili (campionamento) e i principi di vigilanza e controllo dell’organo di revisione degli enti locali del Cndcec ancora troppo disattesi nella prassi.

(*) Professore ordinario di economia aziendale Università Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara, consigliere Ancrel

Sindaci e assessori, «sì» (condizionato) della Corte dei conti all’aumento delle indennità

Sindaci e assessori, «sì» (condizionato) della Corte dei conti all’aumento delle indennità

di Amedeo Di Filippo

 

È possibile per i Comuni aumentare le indennità di funzione del sindaco e degli assessori nella misura massima prevista dalla tabella A allegata al Dm 119/2000, tenendo conto della riduzione stabilita dall’articolo 1, comma 54, della legge 266/2005 e verificando di anno in anno il permanere delle compatibilità finanziarie. Lo ha affermato la sezione Toscana della Corte dei conti con la deliberazione n. 3/2018.

Il quadro normativo  Con il decreto 4 aprile 2000 n. 119, il ministero dell’Interno ha approvato il regolamento per la determinazione della misura dell’indennità di funzione e dei gettoni di presenza per gli amministratori locali, nelle misure previste nell’allegato. Il comma 54 della legge 266/2005 (Finanziaria 2006) ne ha imposto la riduzione del 10% rispetto all’ammontare al 30 settembre 2005. La sezione delle autonomie della Corte dei conti, con la deliberazione n. 35/2016, ha enunciato alcuni orientamenti interpretativi tra cui quello in base al quale non sono oggetto di rideterminazione gli oneri relativi ai permessi retribuiti, agli oneri previdenziali, assistenziali e assicurativi né l’indennità di funzione relativa all’esercizio dello status di amministratore, che spetta nella misura prevista dalla tabella A del Dm 119/2000 con la riduzione fissata al comma 54.

Il quesito  Nel riparametrare la spesa relativa all’esercizio dello status degli amministratori, un Comune ha tenuto conto di un dato (le indennità di funzione) che, alla luce della interpretazione fornita dalla sezione delle autonomie, non doveva essere ridotto. Ha chiesto, quindi, alla sezione Toscana:  • se sia corretto rideterminare in aumento le indennità di funzione del sindaco e degli assessori nella misura massima prevista dalla tabella allegata al Dm 119/2000; • se sia possibile ancora riconoscere le maggiorazioni previste dall’articolo 2 del Dm al verificarsi delle condizioni previste;  • se sia corretto riconoscere di anno in anno le maggiorazioni oppure prevederle solo al momento della rideterminazione dell’indennità e del gettone;  • se sia possibile rideterminare le indennità anche in forma retroattiva.

Il parere  I magistrati contabili partono dall’assunto che in via generale è ammessa la possibilità di aumentare le indennità di funzione del sindaco e degli assessori nella misura massima prevista dalla tabella A, tenendo conto della riduzione imposta dalla finanziaria 2006. Riportano però alla memoria i consolidati avvertimenti della Corte in base ai quali, essendo la normativa finalizzata al contenimento della spesa pubblica, si deve privilegiare un’applicazione non meramente formale, avendo riguardo anche a principi di sana gestione finanziaria. Per cui ogni decisione da cui deriva un aumento di spesa deve essere adeguatamente ponderata in modo da verificare se le condizioni abbiano consistenza tale da assicurare il rispetto, anche sostanziale, della normativa vigente. Condizioni che, secondo la sezione. devono essere verificate ogni anno e certificate con apposita delibera mediante la quale gli enti – si legge nel parere – «non devono, peraltro, limitarsi ad un mero riscontro di tipo contabile ma sono chiamati ad operare un ben più pregnante e rigoroso accertamento, in termini di effettività, circa la sussistenza degli anzidetti parametri non disgiunto da una complessiva valutazione, anche alla stregua di principi di sana gestione finanziaria, delle risultanze di bilancio». Essendo necessario accertare la presenza dei presupposti legittimanti la parametrazione delle indennità, la sezione esclude che possano essere ammessi meccanismi retroattivi di determinazione.