Il file per il controllo sul Fondo 2018

Il file per il controllo sul Fondo 2018

 http://www.gianlucabertagna.it

18-02-2018

Come nostra abitudine, proponiamo di seguito un foglio di calcolo utile per la costituzione del fondo dell’anno 2018, aggiornato sulla base del vigente art. 23 del d.lgs. 75/2017, e comprensivo delle modalità di controllo dei diversi limiti del trattamento accessorio imposti dal legislatore negli anni passati.

Punto di partenza, anche questa volta, è stato il noto file di Excel® predisposto dall’ ARAN già nel 2014, strumento utile soprattutto sia per il controllo delle operazioni di decurtazione effettuate ai fini del rispetto delle limitazioni imposte dal legislatore, alla luce delle diverse interpretazioni fornite dai magistrati contabili e dalla Ragioneria generale dello Stato, sia per quanto riguarda le voci incluse ed escluse dal tetto di riferimento. Quello che segue è pertanto un foglio di calcolo il più aggiornato possibile,che tiene conto degli orientamenti giurisprudenziali e/o istruzioni operative, ormai consolidati. Ai sensi dell’art. 23 del d.lgs. 75/2017, anche nel 2018 il totale del trattamento accessorio non può essere superiore a quello dell’anno 2016, senza alcuna verifica da effettuare sulla riduzione del personale in servizio.

Pertanto, abbiamo focalizzato e posto in prima linea le colonne relative agli anni 2016 e 2018, ai fini del controllo dei disposti legislativi vigenti, omettendo la colonna relativa all’anno 2017 per evitare la tentazione di farvi riferimento: ripetiamo che l’anno da prendere a riferimento è infatti il 2016.

Anche alla luce delle interpretazioni contrastanti e dell’invio della questione alla Sezione Autonomie (avvenuta qualche giorno fa da parte della Sezione della Puglia con la deliberazione n. 9/2018)per il momento abbiamo lasciato gli incentivi per funzioni tecniche sia tra le voci incluse che tra quelle escluse ai fini del rispetto dei vincoli finanziari.

ALLEGATO: FILE DI EXCEL PER VERIFICA DEI LIMITI AL FONDO 2018

la FORMAZIONE dell’ASSOCIAZIONE: gli eventi di maggio

     con il patrocinio di                        

                                                                                                 Comune di Bergamo    Comune  di San Bonifacio

 E TANTE COLLABORAZIONI

 

BERGAMO COMUNALE DAL 3 AL 10 MAGGIO

LA SETTIMANA COMUNALE DI SAN BONIFACIO DAL 21 AL 26 MAGGIO

 

CICLI FORMATIVI PER DIPENDENTI ED OPERATORI DEGLI ENTI LOCALI

CONTABILITA’                 TRIBUTI             FUTURO DIGITALE

REDDITIVITA’ DEL PATRIMONIO                 INVENTARI                  PRIVACY

 

PROSSIMAMENTE I DETTAGLI DELLE SETTIMANE FORMATIVE

        

 

 

 

Contrordine dei giudici contabili, gli incentivi tecnici non sono esclusi dal fondo del salario accessorio

Contrordine dei giudici contabili, gli incentivi tecnici non sono esclusi dal fondo del salario accessorio

http://www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com

di Vincenzo Giannotti

Dopo che la Corte dei conti umbra (sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 7 febbraio) e la Corte friulana (sul Quotidiano degli enti locali e della Pa dell’8 febbraio) avevano dato speranza di vedere esclusi dal salario accessorio gli incentivi per funzioni tecniche, arriva la doccia fredda della Sezione della Puglia (deliberazione n. 18/2018) che va in senso opposto tanto da rimettere la questione di massima nuovamente alla Sezione delle Autonomie.

Le tesi sul superamento delle deliberazioni della Sezione Autonomie  Rispetto alle conclusioni della Sezione delle Autonomie (deliberazioni n. 7/2017e n. 24/2017), è nuovamente intervenuto il legislatore con l’articolo 1, comma 526, della legge di bilancio 2018, prevedendo l’allocazione della spesa per incentivi per funzioni tecniche nei capitoli di spesa destinati alle opere pubbliche; determinandone, di fatto, l’allocazione nell’ambito della spesa per investimenti. La novità è stata oggetto di interpretazione da parte della magistratura contabile secondo cui gli incentivi tecnici non rientrerebbero nei capitoli della spesa del personale, ma dovrebbero essere ricompresi nel costo complessivo dell’opera (sezione di controllo della regione autonoma Friuli Venezia Giulia, deliberazione n. 6/2018/PAR). A rafforzare l’esclusione di questi incentivi dal limite di crescita dei fondi decentrati previsti dall’articolo 23, comma 2, del Dlgs 75/2017 si è anche schierata la sezione dell’Umbria, con la deliberazione n. 14/2018. Secondo questa delibera l’individuazione dei soggetti che hanno diritto all’incentivo avviene tenendo conto delle funzioni “tecniche” garantendo il bonus ai dipendenti pubblici che le espletano. Non si registra un ampliamento indeterminato della spesa in quanto lo stesso sistema normativo contiene regole che consentono di determinare e contenere la spesa del personale, evitando che la stessa assuma un carattere incontrollato.

La posizione della Corte pugliese  La posizione assunta dalle Corti regionali non convince i giudici contabili pugliesi per le seguenti motivazioni: • l’appostazione contabile degli incentivi di natura tecnica nell’ambito del «medesimo capitolo di spesa» previsto per i singoli lavori, servizi o forniture non potrebbe mutarne la natura di spesa corrente trattandosi, in ogni caso, di emolumenti di tipo accessorio spettanti al personale; • secondo il glossario Siope «le entrate riguardanti i compensi erogati al personale concernenti la realizzazione di attività di progettazione finalizzate ad un investimento diretto, registrate sia tra gli investimenti diretti sia tra le spese di personale, devono essere oggetto di regolazione contabile con gli incentivi di progettazione impegnati tra gli investimenti diretti, in modo da consentire l’effettivo pagamento della spesa sui capitoli del bilancio relativi alla spesa del personale»; • qualora si considerassero spese di investimento e non di personale, si potrebbe configurare una violazione della disciplina di cui all’articolo 3, comma 18, della legge n. 350/2003, che ha stabilito ipotesi tipizzate di spese di investimento; • infine, il finanziamento di questa spesa non potrebbe comunque avvenire mediante ricorso all’indebitamento stante il disposto dell’articolo 119, ultimo comma, della Costituzione. In considerazione del contrasto tra Sezione regionali sulla corretta imputazione degli incentivi per funzioni tecniche, la Sezione pugliese rimette nuovamente al questione di massima alla sezione delle Autonomie.

Omesso pagamento Tari senza accertamento

 Omesso pagamento Tari senza accertamento

 di Sergio Trovato 

http://www.italiaoggi.it

 Il comune non deve svolgere attività di accertamento in caso di omesso pagamento della tassa rifiuti e non può applicare la sanzione del 30%. L’accertamento deve essere emanato solo in presenza di una dichiarazione omessa o infedele. Se l’amministrazione comunale ha richiesto la tassa determinandola sulla base di quanto ha dichiarato il contribuente, le somme non pagate vanno riscosse direttamente a mezzo ruolo o ingiunzione. L’importante principio è stato affermato dalla Cassazione, con l’ordinanza 3184 del 9 febbraio 2018.

Finalmente si è pronunciata la Cassazione sulla questione riguardante l’accertamento per omesso pagamento della tassa rifiuti. Forma da tempo oggetto di dibattito, infatti, l’applicabilità o meno della sanzione del 30% per omesso pagamento, irrogabile con l’emanazione dell’avviso di accertamento.

Per i giudici di piazza Cavour, l’articolo 72 del decreto legislativo 507/1993, richiamato per la violazione commessa dal contribuente in materia di Tia, «consente ai comuni di procedere direttamente alla liquidazione della tassa ed alla conseguente iscrizione a ruolo, senza necessità di adottare e notificare un avviso di accertamento». Solo però «nei casi in cui la liquidazione avvenga sulla base dei ruoli dell’anno precedente, cioè sulla base di dati ed elementi già acquisiti, e non soggetti ad alcuna modificazione o variazione». Va fatto ricorso all’attività di accertamento, invece, qualora la dichiarazione non sia stata presentata o contenga dei dati non corretti. Secondo la Cassazione, i dati relativi all’iscrizione a ruolo dell’anno precedente, utilizzati per la liquidazione, possono «considerarsi acquisiti, cioè definitivi, risultando o dalla stessa dichiarazione del contribuente o da un accertamento dell’Ufficio divenuto inoppugnabile». L’incertezza del dato utilizzato, a seguito della contestazione da parte dell’interessato, comporta la necessità dell’adozione dell’avviso di accertamento, in quanto l’amministrazione è tenuta a specificare «le ragioni per cui ha ritenuto di discostarsi dai dati ed elementi indicati nella dichiarazione».

La Cassazione, la cui tesi è pienamente condivisibile, esclude dunque l’attività di accertamento in presenza di un omesso pagamento della tassa e, per l’effetto, anche la contestazione della sanzione. Al mancato pagamento consegue la riscossione coattiva delle somme dovute, a mezzo ruolo o ingiunzione. Peraltro, l’irrogazione della sanzione del 30% si pone in palese contrasto con quanto espressamente disposto dall’articolo 13 del decreto legislativo 471/1997, applicabile anche alle violazioni riguardanti i tributi locali. Proprio dal titolo dell’articolo 13, che fa riferimento «ai ritardati o omessi versamenti diretti», si rileva che la sanzione per omesso versamento non sia applicabile alla Tarsu. È noto che la riscossione spontanea o volontaria della Tarsu non veniva effettuata in seguito all’autoliquidazione da parte del contribuente alle scadenze fissate dalla legge, così come avviene, per esempio, per l’Ici e l’Imu o per la Tasi. Non essendo previsto il versamento in autoliquidazione non è contestabile la sanzione di omesso pagamento. Al mancato versamento della tassa consegue la riscossione coattiva per inadempimento del contribuente. La sanzione del 30%, invece, è applicabile alla Tares e alla Tari, considerato che le norme di legge che disciplinano questi due tributi prevedono espressamente, non a caso, la violazione di omesso o insufficiente versamento.

 

Immobili enti non profit: esenzione IMU solo se utilizzati direttamente

http://www.gdc.ancitel.it

Immobili enti non profit: esenzione IMU solo se utilizzati direttamente

AGEL 2 febbraio 2018, di Nicola Ricciardi

La sentenza di Cassazione n. 12301/2017

Sul territorio del Comune di Gignod è presente il seguente caso: l’Ente Parrocchia di San Ilario è proprietaria di un immobile accatastato come B/1. Esso è concesso in comodato GRATUITO – mediante contratto regolarmente registrato – all’Association Saint Hilaire Onlus, organizzazione di volontariato registrata al Registro Regionale e Onlus di diritto, che all’interno dell’unità immobiliare citata svolge l’attività socio-assistenziale di ospitalità e sostegno a persone anziane autosufficienti, rientranti tra le attività dell’art. 7 comma 1 lettera i) del D.Lgs 504/1992. L’Ente Parrocchia non percepisce alcun provento dalla concessione in uso di detto immobile.

Alla luce di quanto precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la risoluzione n. 4/DF del 4/03/2013 circa l’esenzione IMU in caso di contratti di comodato, è stato chiesto di: – avere conferma circa l’applicabilità dell’esenzione al caso specifico illustrato; – sapere come rendere compatibile l’esenzione prevista dal Ministero con quanto previsto dall’art. 8 del Regolamento Comunale nel quale attualmente è prevista l’esenzione dal tributo sono nel caso in cui l’Ente sia, oltre che utilizzatore, anche POSSESSORE dell’immobile utilizzato.

Preliminarmente occorre rammentare che il cd ‘terzo settore’ è stato oggetto di integrale riordino normativo con l’emanazione del Codice del Terzo settore di cui al DECRETO LEGISLATIVO 3 luglio 2017, n. 117.

Per ciò che qui rileva, l’art. 82 c. 6 prevede come gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali del Terzo settore di cui all’articolo 79, comma 5, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, sono esenti dall’imposta municipale propria e dal tributo per i servizi indivisibili alle condizioni e nei limiti previsti dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dall’articolo 9, comma 8, secondo periodo, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, dall’articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e dall’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, e relative disposizioni di attuazione.

L’articolo 7, comma 1, lettera i) del Dlgs 504/1992 stabilisce che sono esenti dall’Ici gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali per lo svolgimento di una serie di attività agevolate (assistenziali, previdenziali, culturali eccetera), svolte con modalità non commerciali. L’esenzione si applica anche all’Imu, per effetto del richiamo operato alla norma sopra citata dall’articolo 9, comma 8, del Dlgs 23/2011.

Per la norma, la spettanza dell’esenzione richiede il contemporaneo rispetto di tre requisiti:

  1. l’ente utilizzatore deve essere un “ente no profit”, come definito dalla lettera c) dell’articolo 73 del Tuir. Sul punto la Corte Costituzionale ha tuttavia affermato la necessità che l’immobile, per poter beneficiare dell’esenzione, deve essere utilizzato direttamente dall’ente proprietario (sentenze n. 429/2006 e n. 19/2007);
  2. l’attività effettivamente svolta nell’immobile (Cassazione, sentenze nn. 10092/05, 1064/2005, 5485/2008) deve appartenere ad una  delle attività agevolate individuate dalla norma della lettera i) dell’articolo 7 citato;
  3. le attività agevolate devono essere esercitate con modalità non commerciali, vale a dire che si tratti di attività istituzionali prive di scopo di lucro che, per loro natura, non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà. I requisiti generali e di settore che devono sussistere affinchè le attività possano definirsi svolte con modalità non commerciali sono quelli di cui al Dm 200/2012.

Nel caso di immobili concessi in comodato da parte dell’ente no profit proprietario ad un altro ente non commerciale, per destinarlo ad una delle attività agevolate in base alla lettera i) dell’articolo 7 del Dlgs 504/92, il comodato alle condizioni sopra descritte non sembra impedire il godimento dell’esenzione (Risoluzione ministeriale 4/df-2013); di contro la Corte di Cassazione ritiene che deve escludersi l’esenzione per i beni immobili non direttamente utilizzati per lo scopo istituzionale, indipendentemente dalla natura, gratuita od onerosa, con la quale ne risultasse ceduto ad altri l’utilizzo (sentenza n. 22201/2008 e sentenza n. 2221/2014).

La Corte di cassazione ha confermato il proprio orientamento anche recentemente  ribadendo che la  mancanza dell’utilizzazione diretta dell’immobile, perché concesso in comodato a un terzo, fa perdere il diritto all’esenzione Ici.

Con l’ordinanza del 17 maggio 2017 n. 12301, infatti la Suprema Corte ha respinto la richiesta di esenzione avanzata da una associazione per un immobile nel quale si svolgevano attività ricreative e ricettive, concesso in comodato a un privato cui era stata affidata la gestione di queste attività. La Corte sottolinea che per beneficiare dell’esenzione dall’Ici è necessaria l’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente che ne abbia il possesso e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito: occorre, pertanto, che siano posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore, cioè che vi sia coincidenza tra ente proprietario (o titolare di altro diritto reale sul bene) e quello che utilizza l’immobile.

Nel ricordare che la prassi amministrativa ministeriale ha valore diverso e meno cogente rispetto alle sentenze della Corte di Cassazione che spesso hanno corretto e contraddetto l’Amministrazione Finanziaria ,qualora un comune intendesse adeguare il proprio regolamento alla prassi ministeriale dovrebbe modificarlo nei modi di legge, ricordando però che tale modifica avverrebbe in contrasto con il consolidato orientamento della  Cassazione al riguardo.

 

L’applicazione del principio di rotazione nelle procedure negoziate semplificate

Circolare Entionline 8 febbraio 2018

L’applicazione del principio di rotazione nelle procedure negoziate semplificate

Agli operatori delle stazioni appaltanti – ma anche agli stessi appaltatori – è abbastanza noto che una della maggiori problematiche pratiche delle procedure negoziate “semplificate” di cui all’articolo 36 del codice dei contratti è determinata dalle implicazioni dell’applicazione pratica del c.d. principio di rotazione tra le imprese.

Principio di rotazione che del codice ora viene richiamato, per effetto della modifica apportata dal decreto legislativo 56/2017, sia con riferimento agli inviti sia con riferimento all’affidamento.

Precisazione non di poco conto considerato che le procedure negoziate “semplificate” dell’articolo 36 si strutturano sostanzialmente in due possibili “dinamiche” (rispetto alle quali l’alternativa – che non richiede alcuna motivazione da parte del RUP – è l’evidenza pubblica e quindi la “classica” gara):

  • l’affidamento diretto, purché nell’ambito dei 40mila euro (comma 2, lett. a), art. 36);
  • la procedura ad inviti il cui numero (dei candidati) varia a seconda dell’importo dell’appalto (lett. b) e c), comma 2, art. 36).

 

Le linee guida ANAC n. 4/2016

Le linee guida dell’ANAC, ancora in vigore in attesa della formalizzazione del nuovo documento approvato nel mese di dicembre 2017 ed attualmente trasmesso al Consiglio di Stato per il parere, dedicano ampio spazio alla questione della rotazione e, inutile negarlo, “esasperando” le implicazioni pratiche.

Non si può negare che l’attuale giurisprudenza, come si vedrà più avanti, risulta – in modo quasi unanime – orientata verso una interpretazione rigorosissima della rotazione delle imprese imponendola, nel caso di successione di procedimenti, anche nei confronti dell’affidatario che si sia aggiudicato il “precedente” appalto attraverso una procedura aperta ad evidenza pubblica. In questo caso, si ritiene che nel successivo procedimento di riaffido – se effettuato secondo le modalità della procedura negoziata – tale aggiudicatario non possa comunque essere invitato alla competizione.

Nelle linee guida citate, oltre alla classica definizione dell’obiettivo della rotazione che tende ad evitare “il non consolidarsi di rapporti solo con alcune imprese, favorendo la distribuzione delle opportunità degli operatori economici di essere affidatari di un contratto pubblico” con conseguente apertura a principi realmente concorrenziali, ci si sofferma sulle condizioni minime per poter ri-affidare direttamente l’appalto al pregresso affidatario (nel caso di affidamento diretto nell’ambito dei 40mila euro).

In particolare:

-il rispetto del principio di rotazione, secondo l’ANAC, fa sì che l’affidamento al contraente uscente abbia carattere eccezionale e richieda un onere motivazionale più stringente;

-il RUP dovrà motivare la scelta, nel momento in cui propone il ri-affido al contraente uscente, in considerazione: della riscontrata effettiva assenza di alternative; ovvero del grado di soddisfazione maturato a conclusione del precedente rapporto contrattuale (esecuzione a regola d’arte, nel rispetto dei tempi e dei costi pattuiti) e in ragione della competitività del prezzo offerto rispetto alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento, anche tenendo conto della qualità della prestazione.

 L’assenza di alternative

Le indicazioni dell’ANAC circa la possibilità di riaffidare direttamente l’appalto (purché nei limiti dei 40mila euro) al pregresso aggiudicatario si sostanziano in una condizione/situazione oggettiva (l’assenza effettiva di alternative) e in una di tipo “soggettivo” la cui definizione è rimessa, a ben vedere, ad un certo grado di discrezionalità, che esige un attento presidio da parte del RUP e del dirigente/responsabile del servizio (qualora i due soggetti non coincidessero).

 L’assenza di alternative deve essere oggettiva (effettiva) e può emergere solamente attraverso una attenta e certificabile verifica delle condizioni del mercato. Al riguardo non si possono che richiamare i principi classici elaborati dalla giurisprudenza in tema di affidamento diretto ad unico contraente (ora art. 63, comma 2, lett. a), del codice dei contratti).

La “certificazione” da parte del RUP del verificarsi della fattispecie del “contraente unico” o, in modo analogo, la carenza oggettiva di alternative nel mercato deve rappresentare la conclusione di una istruttoria attenta e reale: la ricerca di altri appaltatori in grado di eseguire la prestazione/fornitura deve essere effettuata attentamente ed i relativi risultati – comprese ovviamente le modalità tecniche utilizzate (es. avviso pubblico, bando andato deserto per motivi non imputabili alla stazione appaltante, indagine di mercato sui mercati elettronici e similari) – dovranno essere chiaramente esplicitate nella determina di affidamento a pena di illegittimità dell’assegnazione.

 In assenza oggettiva e dimostrabile di alternative, secondo l’ANAC, è possibile eccezionalmente procedere con il riaffido al precedente affidatario.

A mero titolo esemplificativo, si può sottolineare che la circostanza che ad un avviso pubblico abbiamo manifestato interesse solo alcuni appaltatori (in numero inferiore a quelli previsti nell’articolo 36 per poter avviare una procedura ad inviti) non esime il RUP da una ulteriore ricerca, soprattutto se questo sia perfettamente consapevole che il mercato è in grado di esprimere un numero maggiore di candidati.

In questa ipotesi ben potrebbe il RUP procedere con degli inviti specifici – sulla base di verifica da precedenti appalti o appalti degli enti limitrofi etc – per consentire un numero di inviti almeno pari a quelli imposti dalle disposizioni in tema di procedure negoziate semplificate.

 Le condizioni soggettive

L’altra possibilità che consente la deroga alla rotazione è data dalla circostanza del particolare vantaggio tecnico/economico dell’offerta proposta per la stazione appaltante, che il RUP può valutare come “opportunità” – da intendersi in senso tecnico – da cogliere a pena di provocare un esborso finanziario che non può ritenersi “servente” rispetto all’ossequio stereotipato e burocratico del principio di rotazione.

Nell’ipotesi, però, l’ANAC ammette il controllo/verifica su aspetti che devono ritenersi comunque dovuti dall’appaltatore a prescindere dalla circostanza che questo miri ad un riaffido.

Viene citato, infatti, il grado di soddisfazione maturato sulla gestione del precedente rapporto contrattuale e quindi una esecuzione impeccabile, nonché il rispetto dei tempi e dei prezzi pattuiti. Non può sfuggire al RUP che tali condizioni sono dovute dal contraente a prescindere (per il solo fatto di avere stipulato il contratto).

Diversa è la questione della proposta di condizioni economiche di palese e significativo vantaggio rispetto alla media dei prezzi praticati nel settore di mercato di riferimento, anche tenendo conto della qualità della prestazione.

Appare evidente, comunque, che questa condizione potrà essere “sfruttata” in una sola occasione e ben difficilmente potrà essere ripetuta questa motivazione per giustificare affidamenti reiterati nel tempo.

 La recente giurisprudenza

Come si è rilevato sopra, la giurisprudenza – in particolare quella recentissima – propende per una interpretazione rigorosissima del principio di rotazione.

Fermo restando gli approdi del Consiglio di Stato, rispettivamente con la sentenza n. 4125 della sesta sezione e n. 4142 della quinta sezione depositate entrambe il 31 agosto 2017, appare interessante soffermarsi su quanto precisato in due recentissime pronunce.

Tar Campania, Napoli, sez. V, sentenza del 18 gennaio 2018 n. 413

Con la sentenza del giudice campano – che rigetta la censura della ricorrente per mancato invito alla procedura negoziata per essere stata ripetutamente affidataria del servizio (anche in regime di proroga) – si richiama proprio l’insegnamento del Consiglio di Stato per cui “La regola della rotazione degli inviti e degli affidamenti – il cui fondamento è quello di evitare la cristallizzazione di relazioni esclusive tra la stazione appaltante ed il precedente gestore amplia le possibilità concrete di aggiudicazione in capo agli altri concorrenti, anche (e a maggior ragione) quelli già invitati alla gara, i quali sono lesi in via immediata e diretta dalla sua violazione”.

Per effetto di quanto il RUP, in relazione alla questione della rotazione quando propone l’utilizzo di una procedura negoziata semplificata (art. 36) ha solamente due alternative:

  • non invitare il gestore uscente;
  • quanto meno, motivare attentamente le ragioni per le quale si riteneva di non poter prescindere dall’invito (in senso analogo, Cons. Stato Sez. V, 13-12-2017, n. 5854).

Nella stessa sentenza viene richiamata, come si sottolineava sopra, la posizione estrema assunta dal Tar Toscana Firenze Sez. I, n. 17/2018 secondo cui “Il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti di cui all’art. 36, comma 1, del D.lgs. n. 50/2016, è volto a tutelare le esigenze della concorrenza in un settore, quale quello degli appalti “sotto soglia”, nel quale è maggiore il rischio del consolidarsi, ancor più a livello locale, di posizioni di rendita anticoncorrenziale da parte di singoli operatori del settore risultati in precedenza aggiudicatari della fornitura o del servizio. Ne deriva che esso si applica anche agli operatori economici che erano affidatari a seguito di precedente procedura ad evidenza pubblica, ad evitare che, una volta scaduto il rapporto contrattuale, la precedente aggiudicataria possa di fatto sfruttare la sua posizione di gestore uscente per indebitamente rinnovare o vedersi riaffidare il contratto tramite procedura negoziata”.

Tar Sicilia, Palermo, sez. II, sentenza del 22 gennaio 2018 n. 186

La ratio del principio di rotazione (rappresentata dall’esigenza di evitare il consolidamento di rendite di posizione) induce il Collegio siciliano “a ritenere che il gestore uscente vada escluso dalla procedura negoziata a prescindere dai modi in cui aveva ottenuto il precedente affidamento e, quindi, anche se l’affidamento sia scaturito, come nel caso in esame, dall’aggiudicazione a seguito di procedura aperta”.

Il principio è volto – si legge ancora nella sentenza – proprio a tutelare le esigenze della concorrenza in un settore, quale quello degli appalti “sotto soglia”, nel quale è maggiore il rischio del consolidarsi, ancor più a livello locale, di posizioni di rendita anticoncorrenziale da parte di singoli operatori del settore risultati in precedenza aggiudicatari della fornitura o del servizio (Cons. Stato, V, 13.12.2017, n. 5854). Ne deriva che esso si applica anche agli operatori economici che erano affidatari a seguito di precedente procedura ad evidenza pubblica, ad evitare che, una volta scaduto il rapporto contrattuale, la precedente aggiudicataria possa di fatto sfruttare la sua posizione di gestore uscente per indebitamente rinnovare o vedersi riaffidare il contratto tramite procedura negoziata.

Anche in questo caso si specifica che le alternative del RUP sono limitate: o non invitare il pregresso affidatario o procedere con l’invito ma con adeguata motivazione.

 L’elenco dei fornitori

A ben valutare, sotto il profilo pratico in realtà insiste una diversa opzione istruttoria che consente al contempo di applicare la rotazione e di “rassicurare” gli appaltatori sulla correttezza del procedimento.

Questa opzione è data dalla redazione degli elenchi, adeguatamente pubblicizzati, da cui il RUP potrà attingere seguendo precise dinamiche di alternanza debitamente chiarite nell’avviso pubblico propedeutico alla formazione degli albi (che possono, evidentemente, essere distinti per categoria merceologica e importo).

 I “temperamenti” della rotazione nelle nuove linee guida

L’Autorità anticorruzione nello schema di linee guida n. 4 deliberato il 20 dicembre 2017 – adeguato alle modifiche normative apportate con il decreto legislativo 56/2017 e attualmente presso il Consiglio di Stato per il parere – introduce un primo tentativo di temperare il rigore interpretativo sul principio di rotazione.

In fase di consultazione, l’Authority ha evidenziato come possa essere controproducente per l’aggiudicataria sapere anticipatamente che non potrà essere riaffidataria del servizio (se non attraverso un nuovo procedimento ad evidenza pubblica).

Allo stesso modo, l’ANAC ha annotato come risultasse effettivamente penalizzante non poter re-invitare gli affidatari già chiamati a partecipare alla competizione che non erano risultati neppure aggiudicatari.

Nello schema – tra le novità di rilievo – si precisa, per definire immediatamente l’ambito di applicazione, che la rotazione deve riguardare la successione di commesse identiche o analoghe.

Quindi una valenza generale ma limitata alla stessa tipologia, a prescindere – in quanto nello schema nulla si dice – dall’importo, anche perché altrimenti il principio verrebbe facilmente eluso.

Un problema di rotazione, evidentemente, non si pone nel caso di successione tra procedimenti di gara aperti. Affermazione, contenuta nello schema, non necessaria proprio perché la rotazione viene espressamente richiamata nell’ambito del microsistema normativo delle procedure semplificate.

La novità è che non sarà necessaria la rotazione “laddove l’affidamento avvenga” anche tramite procedure “aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite, dal Codice ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici selezionati”.

Si tratta pertanto o di indagini aperte senza limiti di invito oppure di utilizzo degli elenchi senza il vincolo classico della rotazione.

Gli incisi sopra riportati meritano alcune considerazioni pratiche.

La prima questione è quella dell’avviso pubblico per la consultazione del mercato.

Se l’avviso non contiene limiti sulla partecipazione, la stazione appaltante non deve applicare la rotazione se invita a concorrere tutti i soggetti che abbiano manifestato la volontà di competere.

Si impone al RUP la questione operativa della pubblicità e della tempistica di adesione prevista con l’avviso e soprattutto dei rapporti tra avviso ed “elenchi” dei soggetti aggregatori (soprattutto per le centrali di committenza regionali). Si tratterebbe di comprendere, in definitiva, se l’invito rivolto a tutti gli operatori – di quella data categoria merceologica – presenti negli “elenchi” dei soggetti aggregatori integri davvero una procedura aperta senza limiti.

Attenzione: la prima risposta, in senso negativo, è già stata fornita come noto dal Tar Toscana, Firenze con la sentenza sez. I, del 2 gennaio 2018 n. 17.

Il giudice ha evidenziato che “la circostanza che l’avviso per manifestazione d’interesse sia stato pubblicato sul sito internet del Comune e sulla piattaforma Start (nda: sistema telematico degli acquisti regione Toscana)” non “costituisce ragione sufficiente per derogare al principio della “rotazione” (normativamente prescritto per gli inviti e non solo per gli affidamenti), sia per la limitata efficacia dello specifico strumento di pubblicità utilizzato, sia in quanto si tratta comunque di procedura negoziata alla quale il succitato art. 36 comma 2 lett. b ascrive esplicitamente il criterio di rotazione”.

 La previsione di fasce cui applicare la rotazione

Sempre nello schema, operativamente, si ipotizza che la stazione appaltante, “in apposito regolamento (di contabilità ovvero regolamento specifico disciplinante le procedure di acquisizione di forniture, servizi e lavori), può prevedere delle fasce suddivise per valore economico degli affidamenti, sulle quali applicare la rotazione”. Non è chiaro se il fine sia quello di individuare fasce “franche”.

In ogni caso, “le fasce devono essere differenziate per forniture/servizi e lavori e i valori di riferimento devono essere opportunamente motivati e possono tenere conto per i lavori delle soglie previste per la qualificazione.

In ogni caso, l’applicazione del principio di rotazione non deve essere aggirata per effetto di:

– arbitrari frazionamenti delle commesse o delle fasce;

– ingiustificate aggregazioni;

– strumentali determinazioni del calcolo del valore stimato dell’appalto;

– alternanza sequenziale di affidamenti diretti o di inviti agli stessi operatori economici”.

 Le eccezioni (deroga alla rotazione)

Nello schema si ribadisce che il riaffido diretto (o il reinvito) al pregresso aggiudicatario (al candidato già invitato) ha carattere eccezionale e pertanto il RUP deve indicare una motivazione esaustiva da inserire nella determina a contrattare oppure – in caso di affidamento diretto – nella determina di affidamento.

 La situazione del candidato già invitato alla precedente procedura

Non appare chiarissimo il periodo (inedito) relativo alla situazione del candidato già invitato alla precedente procedura.

L’inciso che interessa recita che “La motivazione circa l’affidamento o il re-invito al candidato invitato alla precedente procedura selettiva, e non affidatario, deve tenere conto dell’aspettativa, desunta da precedenti rapporti contrattuali o da altre ragionevoli circostanze, circa l’affidabilità dell’operatore economico e l’idoneità a fornire prestazioni coerenti con il livello economico e qualitativo atteso”.

Quindi se dopo l’affidamento della commessa – ad esempio, l’anno successivo – il RUP decide di procedere con un affidamento diretto (se si tratta di importi inferiori ai 40mila euro) – dovrà motivare in modo comunque chiaro anche la reiterazione del solo invito.

 La rotazione negli acquisti di importo inferiore ai mille euro

Una deroga specifica (e nuova) – ma senza prescindere da una previa motivazione – è possibile negli affidamenti di importo inferiore ai mille euro (sempre che si tratti di commesse identiche o analoghe, altrimenti, come detto, la questione non si pone). La motivazione andrà chiarita, evidentemente, nella determinazione di affidamento.

Occhio ai compensi dei revisori

Occhio ai compensi dei revisori

 di Massimo Venturato 

Sul fatto che dal 1° gennaio 2018 non si debba più applicare il taglio del 10% sui compensi spettanti ai revisori degli enti locali, non ci sono dubbi.

Sì, perché la legge di bilancio 2018 non lascia scampo. Infatti, nella legge 205/2017 non viene reiterata la disposizione introdotta dall’art. 6 del dl 78/2010 che prevedeva la riduzione dei compensi spettanti a tutti «i componenti di organi di indirizzo, direzione e controllo, consigli di amministrazione e organi collegiali comunque denominati e ai titolari di incarichi di qualsiasi tipo», compreso quindi i compensi spettanti ai componenti dell’organo di revisione dell’ente locale, annettendoli, di fatto ai costi per la politica. Grande merito di questo successo, come abbiamo già avuto modo di scrivere (ItaliaOggi, 12 gennaio 2018), è da riconoscere all’Osservatorio sulla Finanza e Contabilità degli enti locali presso il ministero dell’interno. Questo è un fatto. Ma ciò che sta suscitando dubbi è se l’applicazione del nuovo dispositivo decorra solo per i compensi spettanti ai revisori di nomina post 1° gennaio 2018 oppure se si applichi per tutti i compensi, sempre spettanti dal 1° gennaio 2018, ovvero anche per quelli spettanti ai revisori in carica.

Alcuni interpreti della norma si sono già espressi all’inizio dell’anno, sostenendo che per i compensi deliberati fino al 31 dicembre 2017, continuano ad applicarsi le vecchie disposizioni. In occasione dell’ultima riunione del Consiglio nazionale Ancrel, tenutosi a Roma il 3 febbraio scorso, si è affrontata la questione ed è emersa una tesi diversa.

Per determinare se il taglio del 10% debba essere ancora applicato ai compensi spettanti ai revisori in carica è necessario analizzare la delibera di nomina da parte del consiglio comunale o provinciale.

Se la delibera riporta, quale compenso spettante al revisore, un importo pari a quello indicato dal dm del 2005, ovvero corrispondente alla fascia demografica indicata nel decreto, sul quale poi viene applicata la riduzione prevista dal dl 78/2010, è chiaro che era intenzione da parte del Consiglio, riconoscere un compenso maggiore rispetto a quello che poi è stato corrisposto, ridotto in forza di una disposizione, contenuta nell’art. 6 del decreto legge citato, che imponeva la riduzione del 10%. Dal momento che detta disposizione è venuta meno, è chiaro che l’ente, in linea con la volontà iniziale del Consiglio, dovrà corrispondere ai componenti dell’organo di revisione il compenso senza applicare alcun tipo di riduzione. Detta tesi, peraltro, è suffragata da varie interpretazioni dottrinali in materia, ove si sostiene che nella deliberazione del consiglio comunale abbia prevalenza la sostanza del deliberato, ovvero ciò che in effetti voleva deliberare l’assemblea, rispetto al contenuto letterale. Per essere più chiari. Il verbale di deliberazione riporta l’intestazione dell’organo deliberante, la fase procedimentale della convocazione ai fini della legittimazione dell’organo e dell’oggetto da trattare, il luogo, la data e l’ora, la sottoscrizione, il preambolo, la motivazione, la votazione, il dispositivo e le disposizioni circa l’eseguibilità (Tiziano Tessaro, La redazione degli atti amministrativi del Comune, pag. 185, Maggioli Editore, giugno 2015). Se nel preambolo, e poi nel dispositivo (ma è sufficiente anche solo nel preambolo), si fa riferimento al compenso da riconoscere determinato in base a quanto indicato nel dm del 2005 e poi si riporta l’applicazione del taglio del 10% in forza di quanto previsto dal dl 78/2010, è chiaro che dall’1/1/2018 tale riduzione non potrà più essere applicata, anche per gli incarichi in corso. Prevale, insomma, l’interpretazione sostanziale del dispositivo dalla quale emerge che era volontà del Consiglio riconoscere la somma indicata nel dm ma che si è dovuti applicare una riduzione in forza di una norma emanata successivamente alla data di tale decreto. Diverso è il comportamento nel caso in cui la delibera non riporti né nel preambolo né nel dispositivo che l’importo del compenso è stato ridotto in applicazione del dl 78/2010 o meglio di fatto è stato ridotto, ma non è stata riportata in delibera la motivazione di detta riduzione. In tal caso, prevale l’interpretazione letterale della delibera riportata nel verbale e quindi non sarà possibile applicare nessuna revisione all’importo da riconoscere dall’1/1/2018. I responsabili dei servizi finanziari degli enti locali dovranno quindi esaminare con cura il verbale della delibera di nomina dell’organo di revisione e nel caso si debba riconoscere un maggiore compenso a partire dall’1/1/2018, verificare se l’importo previsto nel bilancio di previsione 2018/2020 per missione e programma di spesa è capiente, provvedendo, se necessario alla conseguente variazione.

Corte dei conti, anche dal Friuli l’esclusione degli incentivi tecnici dai tetti al salario accessorio

 

Corte dei conti, anche dal Friuli l’esclusione degli incentivi tecnici dai tetti al salario accessorio

  • PDFLa delibera della Corte dei conti Friuli Venezia Giulia n. 6/2018
  • Le motivazioni dell’intervento legislativo  Il problema del il legislatore era nato proprio dalle conclusioni della Sezione delle Autonomie con la deliberazione n. 7/2017 in merito al trattamento degli incentivi che erano stati dichiarati da un lato da considerare al di fuori delle spese di investimento e, dall’altro lato, essendo classificabili come spese correnti, da ricondurre all’interno della generalità degli incentivi normalmente attribuiti al personale dipendente, il cui importo non poteva più essere considerato escluso. In effetti, il legislatore con l’approvazione del nuovo codice dei contratti (articolo 113 del Dlgs 50/2016) aveva escluso gli incentivi riferiti alla progettazione delle opere pubbliche (in considerazione di una concorrenza non leale da tempo indicata dagli ordini professionali), inserendo e mantenendo gli stessi alle altre attività collegate ai lavori pubblici (Rup, direttore dei lavori, programmazione delle opere pubbliche, responsabile della sicurezza e quant’altro) con estensione anche alla programmazione riferita ai servizi e forniture.  La Sezione delle Autonomie, essendo venuti meno i presupposti precedenti sulla esclusione dalla base di computo del salario accessorio, ne ha stabilito l’inclusione come tutti gli altri incentivi dati alla generalità dei dipendenti. Per il fatto di essere considerati come spese correnti, anche in riferimento alle attività dei lavori pubblici, gli incentivi tecnici non potevano più essere inseriti nel quadro economico dell’opera pubblica e, come tali, non potevano essere più ammessi a finanziamento. Proprio all’indomani di questa interpretazione la Cassa Depositi e Prestiti aveva indicato ai Comuni che non avrebbero potuto essere oggetto di mutuo le spese per il pagamento degli incentivi tecnici. Rispetto ai due problemi sollevati dalla Sezione Autonomie nel trattamento degli incentivi tecnici, ossia da considerare all’interno del fondo del trattamento accessorio e al di fuori della spesa di investimento, è stato inserito, nella legge di bilancio 2018, all’articolo 113 del Dlgs 50/2016 il comma 5-bis secondo cui «Gli incentivi di cui al presente articolo fanno capo al medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e forniture».  Il primo risultato che è stato sicuramente ottenuto riguarda il fatto che eventuali incentivi tecnici inseriti nel quadro economico dell’opera pubblica devono essere obbligatoriamente considerati investimenti e come tali finanziabili con mutuo da parte della Cassa Depositi e Prestiti o con altra risorsa non rinveniente dalla spesa corrente. Inoltre, il fatto che tali risorse siano inserite nel quadro economico dell’opera pubblica (servizio o fornitura) dovrebbero eliminare in radice il problema del fondo delle risorse decentrate in quanto non più classificabili all’interno della spesa del personale.

 

  • Le posizioni dei giudici contabili  I primi pareri emessi dalle Corti dei conti, a seguito della novella legislativa, possono essere così riassunti.  La Corte dei conti umbra, con la deliberazione n.14/2018, li considera ora al di fuori del fondo accessorio, sposando in pieno le conclusioni cui era pervenuta la Sezione ligure con la deliberazione n. 58/2017, in considerazione del fatto che lo stesso legislatore ha già previsto altre restrizioni non rinvenibili nella generalità degli altri dipendenti (in non superamento dell’importo del 50% del salario accessorio del dipendente; l’obbligo del previo regolamento sulla distribuzione delle risorse al solo personale che avesse oggettivamente partecipato alle attività; obbligo di inserimento nel quadro economico al fine di evitare una ulteriore espansione della spesa). La Corte dei conti friulana, con la deliberazione n.6/2018, precisa, invece, come le modifiche apportate dal legislatore non intaccano l’impianto generale cui era pervenuta la Sezione delle Autonomie (deliberazione n. 7/2017), ma la novella legislativa, considerando ora gli incentivi tecnici all’interno dei quadri economici delle opere pubbliche (ovvero servizi o forniture), non può considerarli a carico dei capitoli della spesa del personale ma nel costo complessivo dell’opera, con la conseguenza che tali incentivi non debbano gravare sul fondo per le risorse decentrate. I giudici contabili concludono evidenziando come gli enti dovranno dotarsi di un proprio regolamento al fine di evitare un possibile risarcimento del danno da parte dei dipendenti che aspirino alla remunerazione delle attività espletate, nonché procedere a una preventiva individuazione a bilancio delle risorse, a una successiva costituzione del fondo (80% dell’importo inserito nel limite del 2% dell’opera, servizio o fornitura) e, infine, all’individuazione delle modalità di ripartizione del fondo mediante contratto decentrato, in maniera tale da rispettare il principio di preventiva assegnazione degli obiettivi e di successiva verifica del loro raggiungimento.
  • Oltre alla Corte dei conti umbra (sul Quotidiano degli enti locali e della Pa del 7 febbraio) che ha considerato risolta la questione degli incentivi tecnici collocandoli fuori dal fondo delle risorse decentrate, all’indomani delle modifiche inserite dal legislatore con la legge di bilancio 2018, la sezione del Friuli Venezia Giulia, nella deliberazione n. 6/2018, conferma la posizione assunta dalla Sezione delle Autonomie (deliberazione n. 7/2017) che, avendo escluso questi incentivi dalle spese del personale, in quanto considerati all’interno del quadro economico dell’opera pubblica (servizi o forniture), li ha considerati, quindi, fuori dal calcolo del fondo delle risorse decentrate.

Asili nido sempre inclusi nella certificazione dei servizi a domanda individuale

Asili nido sempre inclusi nella certificazione dei servizi a domanda individuale

  • PDFLa delibera della Corte dei conti Siciliana n. 2/2018
  • il caso: A seguito delle sanzioni irrogate dalla prefettura per la mancata copertura del costo dei servizi a domanda individuale, un sindaco ha chiesto ai giudici contabili se la mancata copertura minima di questi servizi può comportare l’irrogazione delle sanzioni previste dall’articolo 243, comma 5, del Tuel – destinato alle Province e ai Comuni in condizioni strutturalmente deficitarie – e se, con decorrenza dall’esercizio 2017, il Comune possa escludere, in sede di certificazione, il servizio nido. Questo in conformità a quanto ora dettato dall’articolo 8 del Dlgs 65/2017 che impegna il Governo ad adottare un piano di azione nazionale pluriennale che progressivamente e gradualmente estenda il sistema integrato di educazione e di istruzione su tutto il territorio nazionale, «con l’obiettivo di escludere i servizi educativi per l’infanzia dai servizi pubblici a domanda individuale» di cui all’articolo 6 del Dl 55/1983. Criterio contenuto nella legge 107/2015 che, nel delegare il Governo a istituire il sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino a sei anni (comma 181, lettere e), ha posto l’esclusione dei servizi educativi per l’infanzia e delle scuole dell’infanzia dai servizi a domanda individuale (n. 3), pur mantenendo la compartecipazione delle famiglie utenti del servizio (n. 4).

 

  • La posizione della Corte  La sezione siciliana evita di fornire il parere sul primo quesito, a motivo del fatto che la funzione consultiva non può svolgersi su fattispecie che possono formare oggetto di eventuali iniziative giudiziarie. Si esprime sul secondo, affermando che, sebbene il Dlgs 65/2017 prospetti un diverso computo dei servizi educativi per l’infanzia ai fini della copertura tariffaria dei relativi costi, «a oggi il quadro normativo non risulta mutato». Nemmeno rileva, secondo i magistrati contabili, il fatto che sia stata espressa l’intesa in sede di conferenza unificata sul piano d’azione nazionale pluriennale. Quella contenuta nel decreto «zero-sei» è dunque una previsione normativa che ha carattere programmatico e rinvia per la sua concreta attuazione a successivi atti che risultano ancora in corso di definizione. A maggior ragione se si tiene conto che il decreto delegato parla di esclusione progressiva e graduale dei servizi educativi per la prima infanzia da quelli a domanda individuale, collegata allo stanziamento di adeguate risorse. È facile ipotizzare che, considerate le ferree motivazioni addotte dalla sezione siciliana, nemmeno sia sufficiente il fatto che, nel frattempo, il piano d’azione nazionale sia stato formalmente adottato con la delibera del Consiglio dei ministri 11 dicembre 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 25 gennaio.
  • Il servizio di asili nido non può essere attualmente escluso dalle certificazioni riguardanti i servizi a domanda individuale, nonostante le novità introdotte dalla legge su Buona scuola (n. 107/2015) e dal Dlgs 65/2017 che ha regolato il sistema di educazione da zero a sei anni. Lo afferma la sezione di controllo per la Regione Siciliana della Corte dei conti con la deliberazione n. 2/2018.

BILANCIO DI PREVISIONE 2018: È ARRIVATA LA PROROGA

BILANCIO DI PREVISIONE 2018: È ARRIVATA LA PROROGA

In Conferenza Stato-Città, il ministero dell’Interno ieri ha dato il via libera alla proroga al 31 marzo dei termini per approvare il bilancio di previsione 2018, inizialmente fissati al 28 febbraio. E’ stata così accolta la richiesta dell’Anci, che in una lettera inviata al ministro dell’Interno sottolineava quanto indispensabile fosse questo rinvio. Il presidente dell’Anci ha ringraziato il ministro, perché questa proroga consentirà un più ordinato processo di approvazione dei bilanci, nel rispetto dei rinnovati principi contabili introdotti dalla legge e nell’interesse delle comunità amministrate.

Resta invariata, invece, la scadenza del 28 febbraio per il nuovo adempimento relativo alla trasmissione all’Agenzia delle entrate dei dati riguardanti le rette per la frequenza di asili nido sostenute nell’anno 2017.

È del 6 febbraio la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale del decreto del Mef firmato il 30 gennaio 2018 che disciplina questo adempimento. La trasmissione telematica si applica a partire dai dati relativi al 2017 in modo da essere utilizzate per la precompilata dei redditi 2018 (da rendere disponibili entro il prossimo 16 aprile).

Nello specifico gli asili nido, pubblici e privati, e gli altri soggetti a cui sono versate le rette, devono trasmettere in via telematica all’Agenzia delle entrate una comunicazione contenente i dati relativi alle spese sostenute l’anno precedente dai genitori, con riferimento ogni figlio iscritto, per il pagamento delle rette relative alla frequenza e per i servizi formativi infantili (“sezioni primavera”) sostenute nell’anno precedente dai genitori (detraibili ai fini Irpef al 19%). La comunicazione riguarda anche i rimborsi. L’Agenzia delle Entrate ha messo a disposizione un software specifico per l’adempimento in argomento.