Stretta sugli incarichi legali, si applicano le regole sugli appalti si servizi

Stretta sugli incarichi legali, si applicano le regole sugli appalti si servizi

di Carmelo Battaglia e Domenico D’Agostino

(www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com)

Con la deliberazione n. 4/2018/VSGO, la sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna della Corte dei conti torna a occuparsi della questione dell’affidamento degli incarichi di assistenza e patrocinio legale. Chiarisce la Corte che a partire dalla deliberazione n. 19/2009/PAR, della sezione regionale di controllo per la Basilicata, la giurisprudenza contabile si era progressivamente consolidata nel considerare il singolo incarico di patrocinio legale come un contratto d’opera intellettuale. In ogni caso, la magistratura contabile già riteneva che detta tipologia d’incarico non potesse comunque essere oggetto di affidamento diretto, dovendo essere attribuito a seguito di procedura comparativa, aperta a tutti i possibili interessati.

L’incarico legale è appalto di servizi  La ricostruzione della disciplina applicabile agli incarichi aventi a oggetto un singolo patrocinio legale dev’essere, tuttavia, rivista, alla luce dell’entrata in vigore, il 19 aprile 2016, del Dlgs 18 aprile 2016, n. 50. A decorrere da tale data  anche il singolo incarico di patrocinio legale appare dover essere inquadrato come appalto di servizi; ciò, sulla base del disposto di cui all’articolo 17 (recante “Esclusioni specifiche per contratti di appalto e concessione di servizi”), che considera come contratto escluso la rappresentanza legale di un cliente, da parte di un avvocato, in un procedimento giudiziario dinanzi a organi giurisdizionali, nonché la consulenza legale fornita in preparazione di detto procedimento. Tale interpretazione pare preferibile anche tenuto conto di come l’articolo 17 richiamato recepisca direttive dell’Unione europea che, com’è noto, accoglie una nozione di appalto più ampia di quella rinvenibile dal nostro codice civile. In ogni caso, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 4 del citato decreto legislativo, l’affidamento dello stesso deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, trasparenza, imparzialità, parità di trattamento, proporzionalità e pubblicità.

Niente carattere fiduciario della scelta dell’avvocato  L’applicazione anche al singolo patrocinio della disciplina dei principi summenzionati conferma l’orientamento circa l’impossibilità di considerare la scelta dell’avvocato esterno all’ente come connotata da carattere fiduciario. Per prima cosa, quindi l’ente deve operare una ricognizione interna finalizzata ad accertare l’impossibilità, da parte del personale incardinato nell’ufficio legale, ove istituito, a svolgere l’incarico. L’affidamento di un appalto di servizi legali alla luce del nuovo codice dei contratti pubblici ha rimarcato come per esso debba essere assicurata la massima partecipazione mediante una procedura di tipo comparativo idonea a permettere a tutti gli aventi diritto di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del contraente. L’Anac, con delibera n.1158/2016, ha evidenziato che nell’affidamento di un patrocinio legale le amministrazioni possono attuare i principi del codice dei contratti pubblici applicando sistemi di qualificazione, ovvero la redazione di un elenco di operatori qualificati, mediante una procedura trasparente e aperta, oggetto di adeguata pubblicità, dal quale selezionare, su una base non discriminatoria, gli operatori che saranno invitati a presentare offerte. Quanto sopra deve avvenire sulla base di un principio di rotazione, applicato tenendo conto, nella individuazione della “rosa” dei soggetti selezionati, dell’importanza della causa e del compenso prevedibile. È altresì utile precisare che detti elenchi di operatori qualificati possono essere articolati in diversi settori di competenza e che non sarebbe comunque legittimo prevedere un numero massimo di iscritti. Qualora vi siano ragioni d’urgenza, motivate e non derivanti da un’inerzia dell’ente conferente, tali da non consentire l’espletamento di una procedura comparativa, le amministrazioni possono prevedere che si proceda all’affidamento diretto degli incarichi dettagliatamente motivato, sulla base di un criterio di rotazione. Se pur è ammissibile la predisposizione di un sistema di qualificazione, è altrettanto vero che l’applicazione di una rotazione, quanto meno minima, tra i richiamati operatori qualificati e pertanto del tutto idonei al compito da affidare, rappresenta un’imprescindibile esigenza di salvaguardia dei principi di non discriminazione, concorrenzialità e buon andamento dell’azione amministrativa.

Criticità  In ultimo la Corte segnala altre due aspetti problematici. Per un verso è assolutamente necessaria in materia la più ampia tutela dei principi di imparzialità, parità di trattamento e trasparenza ex articolo 4 del Dlgs n.50/2016 e per attuare ciò va evitato l’effetto restrittivo della concorrenza derivante dalla limitazione temporale del termine per la presentazione delle istanze che può essere superato non prevedendo termini per la presentazione delle domande (liste aperte) ovvero contemperando la riduzione del termine di validità dell’iscrizione, che potrebbe essere portata a un anno, in modo da rendere più frequenti le finestre temporali entro le quali i soggetti qualificati possono manifestare l’interesse all’iscrizione nell’elenco. Per altro verso, è nulla la clausola che consente l’attività di eventuali sostituti e collaboratori non collegata ad aspetti marginali della prestazione, in quanto si pone in contraddizione con il criterio del possesso di una particolare e comprovata esperienza specifica.

Controllo analogo congiunto sulla società in house se l’assemblea dei sindaci ha poteri di indirizzo vincolanti

Controllo analogo congiunto sulla società in house se l’assemblea dei sindaci ha poteri di indirizzo vincolanti

di Michele Nico

(www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com)

Nell’ambito di una società in house a compagine plurima, il controllo analogo congiunto dei Comuni soci sussiste ove sia esercitato mediante un’assemblea dei sindaci con diritto paritario di voto indipendentemente dall’entità della partecipazione, e sempre che questo organismo di coordinamento sia titolare di un forte potere di indirizzo sui servizi affidati, con effetti vincolanti per il consiglio di amministrazione della società medesima. Con la sentenza n. 182/2018 il Consiglio di Stato, sezione V, precisa e ribadisce un principio che, per quanto consolidato in giurisprudenza, stenta a farsi strada nell’organizzazione dei servizi pubblici locali, generando talora strascichi giudiziari sul territorio, specie dove l’affidamento in house viene disposto a fronte di una quota minima di partecipazione al capitale del soggetto gestore.

La vicenda  Ciò accade nella vicenda in esame, rispetto alla quale Palazzo Spada capovolge la decisione del Tar Lombardia che aveva escluso la legittimità dell’affidamento senza gara del servizio di igiene urbana a favore di una società in house, a causa della quota esigua di capitale sociale (inferiore all’1 per cento) detenuta dal Comune interessato, e stante la reputata assenza di poteri idonei a consentire a quest’ultimo l’esercizio di «un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative di detta persona giuridica», secondo quanto prescrive l’articolo 12, paragrafo 3, secondo comma, lettera ii) della direttiva 2014/24/UE. Il contenzioso era sorto in relazione alla delibera consiliare con cui l’ente locale aveva approvato l’affidamento in house alla società pubblica per un periodo pluriennale, dopo la scadenza del contratto di servizio con una impresa del settore che aveva a suo tempo acquisito il servizio pubblico con gara. L’impresa, tuttavia, non si rassegna a cedere le armi sul territorio e impugna avanti al Tar Lombardia la delibera con cui il Comune cambia le modalità organizzative del servizio optando per il ricorso all’affidamento senza gara del servizio rifiuti a una società partecipata, di cui l’ente possiede una quota non significativa del capitale.

La decisione  Come si è detto, il Tar dà ragione alla ricorrente e non ravvisa la sussistenza del «controllo analogo» nelle circostanze descritte, mentre il Consiglio di Stato emette una pronuncia che sovverte l’esito del giudizio di primo grado. La Sezione V osserva, innanzitutto, che la società di cui si tratta è interamente in mano pubblica e realizza oltre l’80 per cento del fatturato a favore degli enti soci che partecipano al relativo capitale sociale, secondo le prescrizioni in tema di «in house providing» dettate dalla direttiva 2014/24/Ue, all’epoca dei fatti già efficace, per quanto non ancora recepita nel nostro ordinamento giuridico con l’articolo 5 del Dlgs 50/2016. L’aspetto più delicato della questione riguarda il controllo analogo congiunto che, secondo l’articolo 16, comma 2, lettera b) del Dlgs 175/2016, sussiste «se tutte le amministrazioni pubbliche partecipanti sono in grado di esercitare congiuntamente un’influenza determinante sugli obiettivi strategici e sulle decisioni significative della società controllata». A questo riguardo, la più autorevole giurisprudenza amministrativa ha da tempo messo in chiaro che questo requisito deve essere verificato «secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente» (Consiglio di Stato, Sezione V, sentenze n. 5082/2009 e n. 1365/2009). Nel caso di specie, la verifica è condotta dai giudici con esito positivo per il fatto che tra gli enti locali soci affidanti è stato costituito un organismo comune di matrice statutaria – sulla base di apposita convenzione stipulata ai sensi dell’articolo 30 del Tuel – denominato «Assemblea di coordinamento e controllo intercomunale», formato dai sindaci dei Comuni soci con diritto paritario di voto indipendentemente dall’entità della partecipazione societaria, che definisce gli indirizzi operativi sui servizi affidati, vincolanti per gli amministratori della società in house. Per questa via a ciascun Comune affidante sono attribuiti poteri di impulso nei confronti del Cda della società affidataria, consistenti in proposte di specifiche iniziative inerenti all’esecuzione dei singoli contratti di servizio, nonché poteri di veto sulle deliberazioni dell’organo direttivo riguardanti l’attuazione del contratto di servizio. Questo assetto societario si caratterizza, come ben si vede, per un rafforzamento dei poteri decisori dei soci che delimita e circoscrive l’autonomia del consiglio di amministrazione, con un risultato finale che differenzia sensibilmente la governance e l’organizzazione interna della società in house rispetto a quelle del modello ordinario contemplato dal codice civile.

Pubblico Impiego: quale percentuale sulle assunzioni per il 2019 e 2020?

Pubblico Impiego: quale percentuale sulle assunzioni per il 2019 e 2020?

Pubblicato da lentepubblica.it il 6 febbraio 2018

 Qual è la percentuale della capacità assunzionale negli anni 2019 e 2020? La domanda è importante perché si inserisce nell’adozione dei piani triennali dei fabbisogni personale del triennio 2018/2020 e quindi, bisognerà pur sapere quanti dipendenti si possono assumere o almeno programmare.

Ovviamente non stiamo parlando della percentuale che sarà, cioè quella che potremmo ritrovarci dopo la manovra estiva del nuovo Governo. Il calcolo è basato sulla percentuale odierna, quella da considerare per i documenti di programmazione.

A normativa vigente, c’è una disposizione che aveva inserito la percentuale del turn-over a regime. Questa è rappresentata dall’art. 3 comma 5 del d.l. 90/2014. Questa  legge afferma che : “La predetta facoltà ad assumere è fissata nella misura dell’80 per cento negli anni 2016 e 2017 e del 100 per cento a decorrere dall’anno 2018”.

Nel frattempo però, come sappiamo, l’art. 1 comma 228 e seguenti della legge 208/2015 ha aperto una parentesi per il triennio 2016/2018 introducendo percentuali diverse e più ridotte. Al 31 dicembre di quest’anno, quindi, la parentesi si chiuderà e tornerà in vigore l’art. 3 del d.l. 90/2014.

A fine anno termineranno anche le norme speciali per le assunzioni nella polizia locale e per le assunzioni del piano straordinario per il personale educativo e scolastico. Quindi la conclusione è semplice: dal 2019 la percentuale della capacità assunzionale è fissata per tutti gli enti locali sopra i 1.000 abitanti e per tutte le tipologie di personale da assumere al 100% della spesa dei cessati nell’anno precedente.

Si ricorda che lo sblocco del turn-over viene esteso anche ai Comuni con popolazione tra i 1.000 e i 5 mila abitanti. Essi devono rilevare, nell’anno precedente, una spesa di personale inferiore al 24% della media delle entrate correnti registrate nei conti consuntivi dell’ultimo triennio.

Fonte: ASFEL – Associazione Servizi Finanziari degli Enti Locali

 

Dalla Corte dei conti prima esclusione degli incentivi tecnici dai tetti al salario accessorio

Dalla Corte dei conti prima esclusione degli incentivi tecnici dai tetti al salario accessorio

(www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com)

di Gianluca Bertagna

 

Gli incentivi per funzioni tecniche, dopo la modifica apportata dalla legge di bilancio, non rientrano nei limiti del salario accessorio fissati dall’articolo 23, comma 2 del Dlgs 75/2017. La prima interpretazione sull’inclusione o meno delle somme previste all’articolo 113, comma 2 del Dlgs 50/2016 nei tetti dei fondi arriva dalla Corte dei conti dell’Umbria con la deliberazione n. 14/2018.

Il problema La questione è nota. La revisione delle modalità di erogazione degli incentivi contenuta nel Codice degli appalti ha acceso fin da subito un forte dibattito sulla natura di questi emolumenti. Mentre i compensi del Dlgs 163/2006 erano stati solidamente esclusi da ogni limite al trattamento accessorio complessivo delle pubbliche amministrazioni, quelli di nuova concezione hanno avuto uno stop da parte della Sezione autonomie della Corte dei conti, che nelle delibere 7 e 24 dello scorso annone ha individuato una natura diversa, costringendo gli enti a monitorare attentamente tali somme nel rispetto dei vincoli.

La modifica normativa La legge 205/2017 ha però aggiunto il comma 5-bis all’articolo 113 del Dlgs 50/2016 prevedendo che gli incentivi «fanno capo al medesimo capitolo di spesa previsto per i singoli lavori, servizi e forniture». La non chiarissima formulazione ha lasciato qualche dubbio (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 15 gennaio) che al momento attuale è stato quantomeno respinto dalla Corte dei conti dell’Umbria.

Le indicazioni della Corte Secondo i magistrati contabili, vi sono tre motivi per poter ritenere esclusi questi incentivi dal limite indicato dall’articolo 23, comma 2 del Dlgs 75/2017, dove si prevede che il salario accessorio non superi il livello del 2016, e le argomentazioni si basano sul fatto che le norme vigenti fissano già dei vincoli precisi che “autolimitano” questa spesa:  • il quadro economico determinato per il singolo lavoro (o fornitura/servizio) costituisce il primo e più importante limite alla spesa per gli incentivi tecnici, poiché il 2% richiamato dalla norma viene calcolato sulle somme predeterminate per il contratto da stipulare, non incidendo su ulteriori stanziamenti di bilancio;  • gli incentivi complessivamente corrisposti nel corso dell’anno al singolo dipendente (anche da diverse amministrazioni) non possano superare l’importo del 50% del trattamento economico complessivo annuo lordo;  • le modalità e criteri di ripartizione del fondo sono previsti in sede di contrattazione decentrata integrativa del personale, sulla base di un regolamento adottato dalle amministrazioni secondo i rispettivi ordinamenti, ma in ogni caso sarà impossibile determinarne un’erogazione a pioggia.  L’esclusione dal tetto del trattamento accessorio degli incentivi per funzioni tecniche consente peraltro di evitare effetti espansivi della spesa pubblica. E chissà se, a questo, punto, la questione tornerà per la parola «fine» alla sezione Autonomie della Corte dei conti.

Slitta al 17 febbraio la scadenza per il censimento su partecipate e amministratori

 Slitta al 17 febbraio la scadenza per il censimento su partecipate e amministratori

di Anna Guiducci e Patrizia Ruffini

Prorogata la scadenza per la rilevazione delle partecipazioni pubbliche. Gli enti locali hanno tempo fino al 17 febbraio per completare l’inserimento dei dati sul portale del Tesoro che gestisce l’applicativo delle partecipazioni in società ed enti di diritto pubblico e di diritto privato detenute direttamente o indirettamente.

Informazioni da correggere
La rilevazione, che assolve agli obblighi previsti dall’articolo 17, commi 3 e 4 del Dl 90/2014, proseguirà fino al prossimo 17 febbraio. Con un 
comunicato pubblicato sul portale del Tesoro e ripreso sul Siquel della Corte dei conti, viene reso noto che la scadenza della rilevazione, precedentemente fissata al 31 gennaio (si veda Il Quotidiano degli enti locali e della Pa del 13 novembre) è stata differita anche per dar modo al dipartimento del Tesoro di rispondere alle segnalazioni e alle richieste di assistenza relative, in particolare, all’inserimento, da parte di molteplici amministrazioni, di quote di partecipazione errate, che hanno generato incoerenze e impedito l’inserimento dei dati ad altri utenti.

Doppio monitoraggio
È quindi indispensabile che gli enti provvedano a completare l’inserimento dei dati e a verificarne la correttezza e la completezza, senza attendere, per la comunicazione dei dati, i giorni immediatamente precedenti alla chiusura della rilevazione. La comunicazione dell’esito della revisione straordinaria prevista dall’articolo 24 del Dlgs 175/2016 attraverso l’applicativo «Partecipazioni» non sostituisce la rilevazione delle partecipazioni e dei rappresentanti per l’anno 2016 (ex articolo 17, Dl 90/2014). Grazie al protocollo d’intesa sottoscritto dal ministro dell’Economia e dal presidente della Corte dei conti, la comunicazione dei dati attraverso l’applicativo «Partecipazioni» del portale Tesoro consente di assolvere contestualmente agli obblighi informativi nei confronti della Corte per le Amministrazioni che erano tenute all’invio delle informazioni sugli organismi partecipati tramite Siquel.

Il responsabile del servizio può presiedere le commissioni di gara nei Comuni

Il responsabile del servizio può presiedere le commissioni di gara nei Comuni

di Stefano Usai

(www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com)

La questione della presidenza della commissione di gara, a quasi due anni dall’entrata in vigore del nuovo codice dei contratti, non trova pace. Nonostante l’Anac abbia affermato l’incompatibilità del responsabile del servizio – che approva la legge di gara – a far parte della commissione (delibera n. 1143/2017), la giurisprudenza non sembra essere dello stesso avviso.
Una posizione non perfettamente adesiva è stata infatti ribadita dalla sentenza del Tar Sardegna, Cagliari, sezione I, n. 32/2018 che afferma, per gli enti locali e, segnatamente per i Comuni, la valenza di norma speciale dell’articolo 107, comma 3, del decreto legislativo 267/2000 che consente la coincidenza tra il responsabile del servizio e il ruolo di presidente dell’organo valutatore.

La vicenda
Il caso sottoposto al giudice isolano risulta estremamente articolato. La stazione appaltante, bandita una procedura di gara per l’affitto di terreni agricoli, ha operato con una commissione di gara presieduta dal responsabile del servizio anche Rup del procedimento. Con atti successivi, l’aggiudicazione veniva revocata in sede di autotutela proprio per la palesata incompatibilità del presidente dell’organo collegiale secondo il comma 4 dell’articolo 77 del codice.
Il dato di rilievo, però, è che mentre la nomina della commissione interveniva sotto l’egida del codice dei contratti ante modifica del codice da parte del decreto legislativo 56/2017, la revoca dell’aggiudicazione avveniva invece post modifica ovvero una volta a regime il nuovo inciso innestato nel comma 4 dell’articolo 77 del codice che ammette la possibilità del responsabile di svolgere il ruolo di componente della commissione di gara. La circostanza, secondo il giudice, consente al Rup – che coincida con il responsabile di servizio – non solo di essere componente ma anche di presiedere il collegio di valutazione. Questo passaggio legislativo, evidentemente, rendeva la revoca illegittima ma ciò che maggiormente interessa è la posizione del giudice espressa in tema di disposizioni sulla nomina della commissione di gara relative ai Comuni.

La disciplina speciale per i Comuni 
Nella sentenza si legge che “prima” ancora delle norme codicistiche, la stazione appaltante avrebbe dovuto aver riguardo all’articolo 107, commi 3 e 4 che prevedono una attribuzione “di diritto” ai dirigenti della «presidenza delle commissioni di gare e di concorso» (107, comma 3, lettera a). Secondo il giudice sardo, il legislatore «ha previsto, con una normativa speciale per i Comuni, la “generale coincidenza” tra Dirigente dell’ente (in questo caso anche RUP) e Presidenza delle Commissioni di gara».
Con una disposizione, «oltretutto, inserita in un contesto di testo unico connotato da peculiare “forza” e “resistenza”» , in quanto:
• le attribuzioni dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’articolo 1, comma 4, possono essere «derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche disposizioni legislative» (comma 4 dell’articolo 107);
• «ai sensi dell’articolo 128 della Costituzione le leggi della Repubblica non possono introdurre deroghe al presente testo unico se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni» (articolo 1, comma 4).
Il testo unico degli enti locali, prosegue la sentenza, «prevede, quindi, in una norma ad hoc, che il Dirigente debba essere, in via tendenziale, anche il Presidente della Commissione».
Si tratterà ora di capire la posizione che verrà assunta dall’Anac a cui, presumibilmente, verranno posti ulteriori quesiti specifici sulla corretta composizione della commissione di gara nei Comuni.

Il principio di rotazione non esclude in automatico il gestore uscente

Il principio di rotazione non esclude in automatico il gestore uscente

di Susy Simonetti

(www.quotidianoentilocali.ilsole24ore.com/)

Il principio di rotazione non ha valenza precettiva assoluta in quanto è strumentale rispetto a quello della concorrenza e trova, quindi, applicazione nei limiti in cui non incida su quest’ultimo. È questa la massima giurisprudenziale che emerge dalla sentenza n. 1665/2017 del Tar Toscana.

La vicenda
Motivo del ricorso è la violazione dell’articolo 36 del Dlgs n. 50/2016 e delle linee guida Anac n. 4 in relazione all’ inosservanza del principio di rotazione e alla carenza di motivazione circa l’invito del gestore uscente. Nella specie, l’aggiudicazione definitiva era stata disposta a favore del precedente affidatario che, in quanto tale, non avrebbe potuto partecipare alla gara. Non condivisibili, per il giudice, le doglianze: la stazione appaltante ha correttamente operato tramite avviso esplorativo del mercato, al quale hanno manifestato interesse a concorrere solo quattro imprese, compreso il gestore uscente.
L’ente ha così interrogato e sollecitato il mercato e l’indagine ha prodotto un ristretto numero di operatori economici; in tal caso, una interpretazione rigida del principio di rotazione, con l’esclusione automatica del gestore uscente, non avrebbe aumentato ma diminuito la concorrenza.
La stazione appaltante ha legittimamente ritenuto di far prevalere l’esigenza del confronto concorrenziale rispetto al principio di rotazione, avendo, così, la possibilità di scegliere tra le migliori offerte conseguibili a seguito dell’esperimento di una procedura di gara rivolta a una adeguata platea di imprese. In sostanza, l’esclusione del vecchio gestore avrebbe limitato l’applicazione del principio comunitario della partecipazione e la «rendita di posizione” si presenta recessiva alla regola di apertura del mercato. A tutela della concorrenza emerge, pertanto, una chiave di lettura «più morbida» del principio di rotazione.
La regola della rotazione si configura come lo strumento idoneo a perseguire il principio di concorrenza con la distribuzione delle opportunità di aggiudicazione ma incontra un limite nella concorrenza stessa, intesa come apertura ad un grado di competizione effettiva.

La decisione
Di diverso avviso è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5854/2017, per il quale non hanno rilievo le possibili conseguenze in danno della concorrenza stante l’obbligatorietà dell’applicazione del principio di rotazione. Così anche la prima sezione del Tar Toscana con la sentenza n. 17/2018: l’avviso esplorativo non è una procedura di gara concorsuale perché diretto solo a conoscere l’assetto e i potenziali concorrenti, e già nella fase dell’invito, per espressa statuizione dell’articolo 36 del codice, si innesta la regola dell’esclusione del gestore uscente. Tuttavia un’interpretazione «morbida» del principio di rotazione emerge anche da parte dell’Anac che, in fase di revisione delle linee guida n. 4, propone di attenuarne l’applicazione ipotizzando le seguenti soluzioni:
• suddividere l’elenco degli operatori economici per tipologia di affidamento e per fasce di importo, considerando ogni sezione come elenco distinto all’interno del quale applicare la rotazione;
• adottare la regola della rotazione secondo un principio di casualità.
D’altronde, a parere di chi scrive, un’applicazione tout court del principio di rotazione, dal quale far derivare una regola di non candidabilità per il gestore uscente, si presenta in contrasto con i principi del trattato, con effetti distorsivi sulle dinamiche competitive del mercato.