Immobili enti non profit: esenzione IMU solo se utilizzati direttamente

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Immobili enti non profit: esenzione IMU solo se utilizzati direttamente

AGEL 2 febbraio 2018, di Nicola Ricciardi

La sentenza di Cassazione n. 12301/2017

Sul territorio del Comune di Gignod è presente il seguente caso: l’Ente Parrocchia di San Ilario è proprietaria di un immobile accatastato come B/1. Esso è concesso in comodato GRATUITO – mediante contratto regolarmente registrato – all’Association Saint Hilaire Onlus, organizzazione di volontariato registrata al Registro Regionale e Onlus di diritto, che all’interno dell’unità immobiliare citata svolge l’attività socio-assistenziale di ospitalità e sostegno a persone anziane autosufficienti, rientranti tra le attività dell’art. 7 comma 1 lettera i) del D.Lgs 504/1992. L’Ente Parrocchia non percepisce alcun provento dalla concessione in uso di detto immobile.

Alla luce di quanto precisato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze con la risoluzione n. 4/DF del 4/03/2013 circa l’esenzione IMU in caso di contratti di comodato, è stato chiesto di: – avere conferma circa l’applicabilità dell’esenzione al caso specifico illustrato; – sapere come rendere compatibile l’esenzione prevista dal Ministero con quanto previsto dall’art. 8 del Regolamento Comunale nel quale attualmente è prevista l’esenzione dal tributo sono nel caso in cui l’Ente sia, oltre che utilizzatore, anche POSSESSORE dell’immobile utilizzato.

Preliminarmente occorre rammentare che il cd ‘terzo settore’ è stato oggetto di integrale riordino normativo con l’emanazione del Codice del Terzo settore di cui al DECRETO LEGISLATIVO 3 luglio 2017, n. 117.

Per ciò che qui rileva, l’art. 82 c. 6 prevede come gli immobili posseduti e utilizzati dagli enti non commerciali del Terzo settore di cui all’articolo 79, comma 5, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali, di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, comma 1, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222, sono esenti dall’imposta municipale propria e dal tributo per i servizi indivisibili alle condizioni e nei limiti previsti dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, dall’articolo 9, comma 8, secondo periodo, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, dall’articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, e dall’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, e relative disposizioni di attuazione.

L’articolo 7, comma 1, lettera i) del Dlgs 504/1992 stabilisce che sono esenti dall’Ici gli immobili utilizzati dagli enti non commerciali per lo svolgimento di una serie di attività agevolate (assistenziali, previdenziali, culturali eccetera), svolte con modalità non commerciali. L’esenzione si applica anche all’Imu, per effetto del richiamo operato alla norma sopra citata dall’articolo 9, comma 8, del Dlgs 23/2011.

Per la norma, la spettanza dell’esenzione richiede il contemporaneo rispetto di tre requisiti:

  1. l’ente utilizzatore deve essere un “ente no profit”, come definito dalla lettera c) dell’articolo 73 del Tuir. Sul punto la Corte Costituzionale ha tuttavia affermato la necessità che l’immobile, per poter beneficiare dell’esenzione, deve essere utilizzato direttamente dall’ente proprietario (sentenze n. 429/2006 e n. 19/2007);
  2. l’attività effettivamente svolta nell’immobile (Cassazione, sentenze nn. 10092/05, 1064/2005, 5485/2008) deve appartenere ad una  delle attività agevolate individuate dalla norma della lettera i) dell’articolo 7 citato;
  3. le attività agevolate devono essere esercitate con modalità non commerciali, vale a dire che si tratti di attività istituzionali prive di scopo di lucro che, per loro natura, non si pongono in concorrenza con altri operatori del mercato che tale scopo perseguono e costituiscono espressione dei principi di solidarietà e sussidiarietà. I requisiti generali e di settore che devono sussistere affinchè le attività possano definirsi svolte con modalità non commerciali sono quelli di cui al Dm 200/2012.

Nel caso di immobili concessi in comodato da parte dell’ente no profit proprietario ad un altro ente non commerciale, per destinarlo ad una delle attività agevolate in base alla lettera i) dell’articolo 7 del Dlgs 504/92, il comodato alle condizioni sopra descritte non sembra impedire il godimento dell’esenzione (Risoluzione ministeriale 4/df-2013); di contro la Corte di Cassazione ritiene che deve escludersi l’esenzione per i beni immobili non direttamente utilizzati per lo scopo istituzionale, indipendentemente dalla natura, gratuita od onerosa, con la quale ne risultasse ceduto ad altri l’utilizzo (sentenza n. 22201/2008 e sentenza n. 2221/2014).

La Corte di cassazione ha confermato il proprio orientamento anche recentemente  ribadendo che la  mancanza dell’utilizzazione diretta dell’immobile, perché concesso in comodato a un terzo, fa perdere il diritto all’esenzione Ici.

Con l’ordinanza del 17 maggio 2017 n. 12301, infatti la Suprema Corte ha respinto la richiesta di esenzione avanzata da una associazione per un immobile nel quale si svolgevano attività ricreative e ricettive, concesso in comodato a un privato cui era stata affidata la gestione di queste attività. La Corte sottolinea che per beneficiare dell’esenzione dall’Ici è necessaria l’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente che ne abbia il possesso e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito: occorre, pertanto, che siano posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore, cioè che vi sia coincidenza tra ente proprietario (o titolare di altro diritto reale sul bene) e quello che utilizza l’immobile.

Nel ricordare che la prassi amministrativa ministeriale ha valore diverso e meno cogente rispetto alle sentenze della Corte di Cassazione che spesso hanno corretto e contraddetto l’Amministrazione Finanziaria ,qualora un comune intendesse adeguare il proprio regolamento alla prassi ministeriale dovrebbe modificarlo nei modi di legge, ricordando però che tale modifica avverrebbe in contrasto con il consolidato orientamento della  Cassazione al riguardo.